Concerto in mi minore per violino e orchestra, op. 64 (MWV O14)


Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Allegro molto appassionato (mi minore)
  2. Andante (do maggiore)
  3. Allegretto non troppo (mi minore). Allegro molto vivace (mi maggiore)
Organico: violino solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Francoforte, 16 Settembre 1844
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal del Conservatorio, 13 Marzo 1845
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1845
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64 di Mendelsshon fu e rimane uno degli evergreen dei repertori internazionali e uno dei capisaldi della letteratura per lo strumento. Come la gran parte dei Concerti di epoca romantica, anche questo illustra a pieno titolo la collaborazione tra compositore e interprete, in questo caso il violinista Ferdinand David, primo violino dell'Orchestra del Gewandhaus. Nel luglio 1838 Mendelssohn scriveva all'amico: «Vorrei proprio scrivervi un Concerto per violino per il prossimo inverno, ne ho in testa uno in mi bemolle, il cui inizio non mi lascia un minuto di pace». Ma dovette passare un anno prima che il compositore facesse di nuovo allusione alla sua proposta, e solo come risposta ad un nuovo invito di David: «È molto gentile da parte vostra reclamare da me il Concerto», scrisse nell'agosto 1839, «e io ho il più vivo desiderio di scrivervene uno, ma il compito non è semplice. Voi lo vorreste brillante, e come credete che uno come me lo possa! Il primo assolo deve essere tutto nella tonalità di mi». Celiando, Mendelsshon alludeva forse al carattere più osservato che permeava il suo primo tentativo nel genere, il Concerto in re minore, scritto nel 1822 a soli tredici anni, in cui è manifesta l'impronta bachiana anche se già smaliziata la conoscenza dello strumento. L'opera tuttavia non fu completata che nel settembre 1844, durante un soggiorno di convalescenza a Soden, presso Francoforte sul Meno, e continuamente perfezionata prima di darla all'editore per la stampa nel dicembre. Conobbe la sua prima esecuzione, assente l'autore ammalato, il 13 marzo 1845 con David e sotto la direzione del danese Niels Cade. Il 3 ottobre 1847 Mendelsshon potè invece ascoltarlo nell'esecuzione del giovane Josef Joachim, appena un mese prima di morire.

Lavorando al Concerto Mendelssohn consultò regolarmente il violinista sia per questioni di struttura formale e di dettagli che sugli aspetti pratici della scrittura per solo. Di più, una buona parte della cadenza del primo movimento come noi la conosciamo, si crede sia stata scritta proprio da David. Il carattere esecutivo del pezzo, tuttavia, è legato all'equilibrio che deve instaurarsi tra virtuosismo e rigore, in una asciuttezza che non ammette sbavature sentimentali pur nell'ampia retorica espressiva romantica.

Il primo tema del primo movimento Allegro molto appassionato, nonostante la melodia seducente, è di grande semplicità e di mezzi armonici relativamente contenuti. Nella nebbia degli archi gravi, scandita da due colpi del timpano esso si stacca con il caratteristico ritmo anapestico. L'orchestra (a due) è sempre ancella del solista e ne riprende il tema nell'esposizione presentando poi un tema derivato dal primo che il solista si affretta a riprendere variandolo. I fiati introducono il secondo tema in sol maggiore con andamento di semplice corale e il dialogo col solista nello sviluppo prosegue fino alla cadenza, articolatissima, che, con una certa novità formale, precede la ripresa. Il rientro dell'orchestra affiora dalle ultime battute in pianissimo del violino e l'effetto di sospensione è straordinario. La ripresa con il riascolto del tema di corale precede la coda brillante che si conclude con una nota tenuta del primo fagotto che permette di collegare questo movimento direttamente all'Andante.

Questo "sipario" che dal mi minore conduce al do maggiore rievoca paesaggi beethoveniani e costituisce il fondale ideale perché la melodia purissima in forma di Lied tripartito possa aprirsi. La grazia del tema è decisamente sentimentale e intimistica e offre all'esecutore la possibilità di sfoggiare arcate, legati e note tenute. I corni e l'orchestra introducono la sezione centrale che vira verso un tono più drammatico fino alla riesposizione del Lied che conclude in pianissimo il movimento.

L'Allegro molto vivace in mi maggiore è preceduto da una frase recitativa di poche battute con funzione di collegamento, in realtà più emotivo che strutturale, nella quale riappare in forma variata il tema dell'Allegro molto appassionato. In tal modo lo stacco Leggiero dell'arpeggio del violino offre un effetto plastico superiore, dando vita ad un movimento elegante in forma di Rondò-Sonata. Anche questo appare di semplicità melodica e armonica, anche se Mendelsshon "sporca" di cromalismi i movimenti del basso che appaiono fra il primo e il secondo tema, fra la ripresa e la coda e fra la coda e la cadenza conclusiva per creare interesse. Il dialogo con l'orchestra si fa più serrato, nello scambio reciproco dei temi, dando modo al solista di esporsi con gli effetti di pizzicato e di staccato all'ottava acuta. La cadenza finale annunciata dai trilli ascendenti del violino, punteggiati dai fiati, conclude con slancio e brillantezza il movimento, nella cifra tipica di Mendelssohn che non rinuncia alla costruzione "dotta" ma la dissimula in una superiore eleganza formale.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Destinatario di questo concerto, assai popolare, fu un carissimo amico di Menndelssohn, il violinista Ferdinand David, che durante la lunga gestazione del lavoro (1838-44) dette più volte consigli al compositore per quanto riguardava la stesura della parte solistica, e ne fu poi il magistrale interprete quando Mendelssohn stesso diresse la prima esecuzione del lavoro il 13 marzo 1845, al Gewand-haus di Lipsia.

Il Concerto per violino op. 64 deve la sua fortuna soprattutto alla fascinosa invenzione tematica e al brillantissimo rilievo della parte del solista, bilanciato dalla felicità della scrittura orchestrale. Altrettanto importanti sono però le caratteristiche formali del concerto, in cui l'originalità di un grande protagonista della stagione romantica convive con la sicurezza costruttiva di un degno erede dei classici. Dietro l'irregolarità dei tre movimenti fatti succedere senza pause (con un breve Allegretto per collegare l'Andante al finale) o dell'ardito ingresso del violino solista già all'inizio del primo tempo, dietro allo slancio lirico che percorre ininterrottamente l'opera quasi fondendo ogni schema formale in un'unica bruciante offerta espressiva, si rivela altresì un'attenta saggezza artigianale. Anche proposte tematiche indimenticabili come quelle su cui è costruito il primo movimento, anche il lirismo commosso e fluente dell'Andante, nonché il virtuosismo aereo e fantastico del finale si compongono infatti in un insieme di raro equilibrio, sotto la conduzione di una mano sagace.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Espressione tipica dell'arte di Mendelssohn è il Concerto per violino e orchestra, in quanto in esso si riscontrano i principali aspetti, positivi e negativi, di tale arte, sì da permettere la collocazione del musicista nella sua giusta luce.

E difatti, se nell'ultimo tempo (che taluno con intento dispregiativo ha definito «clarinettistico») si notano alcuni elementi, che giustificano l'accusa di esteriorità di cui gran parte della critica, da Wagner ai nostri giorni, si è servita per una svalutazione ingiusta o per lo meno eccessiva della musica mendelssohniana, d'altra parte, soprattutto nel primo tempo, è chiaramente individuabile l'elemento vitale di quella musica.

La valutazione negativa di molti critici deriva per lo più dall'errore di esaminare l'arte di Mendelssohn con criteri di giudizio validi per l'opera di altri artisti. E' chiaro che se si cerca in Mendelssohn l'empito beethoveniano o l'«ironia» schumanniana, si resterà necessariamente delusi. Ma se si adotterà il metodo critico più rigoroso di cercar di comprendere che cosa l'artista ha voluto esprimere e di giudicare se è riuscito nel suo intento, allora più di una volta si dovrà riconoscere il valore della musica di Mendelssohn.

La nota fondamentale della personalità mendelssohniana è un'affettuosa dolcezza, leggermente velata di malinconia. Si ascoltino le due melodie del primo tempo del Concerto, la prima decisa e spiegata, la seconda intima e suadente, e si avrà un'idea del mondo interiore del musicista.

Quando questa nota fondamentale si lascia sopraffare dall'amore per gli ornamenti sfarzosi, da certe irruente manifestazioni di allegria oppure da reminiscenze scolastiche, allora sorge l'esteriorità. Ma quando il primo e più caratteristico sentimento dell'anima mendelssohniana trova la possibilità di estrinsecarsi liberamente, il musicista realizza in pieno il suo ideale artistico.

Ciò, almeno nei due primi, tempi del Concerto avviene; e questo ci fa porre il Concerto un gradino più in alto di alcune fra le più celebri composizioni mendelssohniane, ad esempio dello Scherzo del Sogno di una notte d'estate, in cui ci troviamo senza dubbio di fronte a un finissimo acquarello, nel quale tuttavia l'ispirazione resta alla superficie. E se lo Scherzo può sembrare la cosa più riuscita di Mendelssohn a chi dà per scontata l'esteriorità del compositore, non può apparire tale a chi crede che il mondo spirituale del musicista sia certamente meno ampio, ma non meno intenso di quello degli altri maggiori romantici.

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Il concerto per violino e orchestra, in mi minore di Mendelssohn, fu lungamente meditato. I contatti, a proposito della sua composizione, con il celebre virtuoso Ferdinando David (il celebre violinista gli fornirà dei preziosi consigli d'ordine tecnico) rimontano al 1838.

Il concerto fu terminato nel marzo del 1844 ed eseguito, per la prima volta, dallo stesso David, a Lipsia, il 13 marzo 1845, sotto la direzione del compositore danese Gade.

Le qualità formali della scrittura mendelssohniana (incisività di disegno, oculata sobrietà cromatica, dispiegamento melodico, pervaso da malinconia quasi mormorante in penombra, in alleanza con un consumato magistero architettonico ove le parti s'innestano e si coordinano in un equilibrio perfetto) regnano sovrane nel concerto, che giustamente è uno dei più amati dal pubblico e costituisce l'ambita prova d'esibizione d'ogni celebre virtuoso.

Senza introduzione (tale non può essere chiamata la brevissima ondulazione ritmica degli archi che ha, invece, la semplice funzione di pedana d'impulso allo scatto dello strumento solista) il violino insorge pronto, tessendo un motivo cantabilissimo, sussurrato quasi a mezza voce che, dopo una serie di evoluzioni, improntate al più brillante virtuosismo, sfocia in una ripresa esaltante, a piena orchestra.

Subentra, poi, un tema sussidiario che, come il primo, finisce per frangersi in un acrobatico ed arditissimo gioco di sonorità, atte al risalto dell'abilità esecutiva di un violinista. Un secondo tema, avviato dai legni, dal tono raccolto ed intimo, crea un'atmosfera d'intensa elegia, dal tono raccolto ed intimente accompagnato dalla più schietta ispirazione. Una perentoria cadenza del violino precede la ripresa, che si conclude con una coda rapidissima.

Senza soluzione di continuità (l'aggancio del secondo al primo tempo è realizzato da una lunga nota tenuta del fagotto) l'«Andante» fluisce con una melodia, intonata dallo strumento solista, sul sostegno di un tenue arpeggio degli archi, dispiegata in calme volute sonore da cui traspira tutta la sognante poesia con cui Mendelssohn sa avviluppare i suoi tempi lenti. La calma estatica della melodia, nello svolgimento, viene, tuttavia, turbata da accenti di cocente malinconia, espressione dell'anima di Mendelssohn, che al di là dell'apparente sovrana compostezza, nel suo fondo, non ignorava l'uncino della sofferenza e del tormento. L'attacco del terzo tempo (Allegro molto vivace), dopo una veemente irruzione di squilli di ottoni, guizza aereo e leggerissimo come un baleno. La sostanza fonica, espressa nel dialogo tra violino ed orchestra, è qui talmente assottigliata e resa tanto trasparente, da richiamare, necessariamente, nell'ascoltatore il ricordo delle magiche e fiabesche atmosfere dell'«ouverture» e dello «Scherzo» del «Sogno di una notte di mezza estate» in cui, tra soprannaturali sussurri, volteggiano, aerei, elfi e fate. Tanto il gioco crepitante del violino quanto i riecheggiamenti della orchestra (specie nelle preziose filigrane di oboi e flauti) danno la sensazione di un radioso sfolgorio di luce prismatizzata. Una concitatissima coda chiude il terzo ed ultimo tempo del concerto.

Vincenzo De Rito


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 Aprile 2002
(2) Testo tratto dal Repetorio della Musica Sinfonica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Argentina, 19 febbraio 1947
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 17 marzo 1978


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Ultimo aggiornamento 31 dicembre 2019