Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, op. 54


Musica: Robert Schumann (1810 - 1856)
  1. Allegro affettuoso (la minore). Andante espressivo (la bemolle maggiore). Allegro (la minore)
  2. Intermezzo. Andantino grazioso (fa maggiore)
  3. Allegro vivace (la maggiore)
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: I movimento: Lipsia, 20 maggio - giugno 1841; II e III movimento: 1845
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 1 gennaio 1846
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1846
Dedica: Ferdinand Hiller
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il periodo creativo del Concerto in la minore op. 54 di Schumann si colloca tra il 1841 e il 1845, uno dei meno drammatici e tormentati della vita del musicista, che aveva potuto sposare Clara Wieck, pianista di notevole talento e preziosa collaboratrice del genio del marito. Nel 1841 Schumann scrisse l'Allegro per pianoforte e orchestra con il titolo di Fantasia, che sarebbe diventato poco dopo il primo tempo dell'op. 54; successivamente il compositore, su consiglio della stessa Clara entusiasta della freschezza tematica della Fantasia, aggiunse un Intermezzo e un Finale, completando il più romantico dei concerti pianistici di tutta la letteratura musicale. Schumann informò Mendelssohn del lavoro compiuto con una lettera del 18 novembre 1845 da Dresda che diceva: «Il mio Concerto in la minore si divide in allegro affettuoso, andantino e rondò. I due ultimi brani vanno eseguiti senza interruzione; forse lei potrebbe indicarlo nel programma di sala».

Il concerto, dedicato a Hiller, venne presentato per la prima volta a Lipsia nel gennaio 1846 nella interpretazione di Clara Schumann e sotto la direzione d'orchestra di Mendelssohn; quindi fu lo stesso Schumann a dirigerlo a Vienna e a Praga, suscitando maggiori consensi tra il pubblico che non nei critici. Questi ultimi infatti non mancarono di sottolineare lo scarso virtuosismo pianistico presente nel lavoro, contrariamente alla moda concertistica del tempo, sottomessa al cosiddetto gusto decorativo della tastiera. Naturalmente questo giudizio puramente formale si è modificato con il passare degli anni e tutti ormai sono concordi nel considerare il Concerto in la minore tra le espressioni più autentiche della personalità schumanniana per la qualità e la varietà dell'invenzione musicale. Il primo tempo (Allegro affettuoso) è costruito su due temi: il primo affidato ai legni dopo tre battute di scale discendenti del solista e il secondo indicato dai violini, accompagnati dagli accordi arpeggiati del pianoforte. Dallo sviluppo della seconda frase si arriva ad una versione in tono maggiore del primo tema, espressa dal solista e poi ad una nuova variante dello stesso soggetto con le sonorità dei clarinetti; anche l'oboe fa sentire la sua voce, utilizzando frammenti del materiale tematico usato in precedenza e riproposto ancora dal pianista. Di qui si diparte una nuova, melodia avviata dal solista e immersa in un clima psicologico di straordinaria intensità nel dialogo con il clarinetto, per poi sfociare in un esaltante e turbinoso sviluppo, culminante in un'assorta e fantasiosa cadenza di succosa densità armonica scritta dallo stesso Schumann, che si dissolve in una coda di vivace e appassionata musicalità.

Il secondo tempo (Andantino grazioso) è un Lied molto cantabile, nella cui parte centrale i violoncelli svolgono un tema ampio e ricco di affettuosa sentimentalità, ripreso dai clarinetto e dalle viole e continuamente interrotto dai pungenti interventi del pianista. E' un momento di raccoglimento intimistico, non privo di risonanze beethoveniane. Di straordinario effetto armonico-timbrico è il passaggio all'ultimo tempo (Allegro vivace) con il tema in la maggiore introdotto dal pianoforte, con il secondo tema in mi maggiore spiegato dagli archi e il terzo inciso affidato all'oboe. Il finale irrompe trionfalmente tra brillanti e splendenti sonorità a tutta orchestra, sfocianti in una stretta di vorticosa forza propulsiva, un tipico Schwung (slancio) dell'anima schumanniana, inebriata di amore e di gioia per tutto ciò che di più nobile e generoso esiste nella vita.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

"Quanto al concerto, ti ho già detto che si tratta di un qualcosa a metà tra sinfonia, concerto e grande sonata. Mi rendo conto che non posso scrivere un concerto da 'virtuoso' e che devo mirare a qualcos'altro". Questo brano di una lettera del 1839 a Clara Wieck testimonia quali fossero le intenzioni del compositore nei riguardi di un'idea (un "grande" concerto per pianoforte e orchestra) che già da qualche tempo lo attraeva. Pur giunto alla sua piena maturità, dopo prove sensazionali nel trattamento del pianoforte, Schumann esitò a lungo prima di dare corso al suo progetto; tanto che per scrivere quello che sarebbe diventato uno dei più celebri concerti di tutto l'Ottocento gli sarebbero occorsi ben cinque anni: dal 1841, cui risale il primo movimento, al 1845, per il secondo e il terzo.

Il Concerto in la minore è una delle opere più dense di Schumann, il tentativo più ardito di fondere in una singola composizione tutte le suggestioni e le ansie espressive che lo assillavano di fronte a una creazione di vaste proporzioni, costretta a confrontarsi con la tradizione classica. Più che proseguire quella tradizione, però, si avverte la volontà di superarla e di trascenderla, in una immaginazione che non si impone limiti ben definiti. La caratteristica di 'unicum' che il Concerto riveste nella letteratura del suo genere è programmatica, e deriva in gran parte proprio da questo accavallarsi di intenzioni che ne permea la struttura e ne esaspera le tensioni, quasi evitando la risoluzione formale. E d'altro canto recensendo nel 1839 il Concerto op. 40 di Mendelssohn sulla "Neue Zeitschrift für Musik" Schumann aveva scritto: "Dobbiamo aspettare di buon grado il genio che ci mostri in modo brillante come si possa unire l'orchestra al pianoforte", sottintendendo qualcosa di diverso dai modelli della tradizione. Lo avrebbe dimostrato lui stesso. La scrittura pianistica del Concerto, per esempio, che in un virtuosismo ad alta definizione amplifica le possibilità tecniche ed espressive già inventate e utilizzate prima, tende ad accentrare su di sé il peso del dialogo con l'orchestra, e se mai a distenderlo per converso in rarefatti equilibri, nello spirito di una feconda, reciproca libertà. D'altra parte, tutto il Concerto è anche dominato da un calore che ci rimanda allo stile dello Schumann più estroverso, in un impeto appassionato che si dispone, in sbalzi vertiginosi di umori, su una vasta gamma di gradazioni e che non è certo alieno da svagati ripiegamenti e da sospensioni poetiche.

Il primo movimento, Allegro affettuoso, si apre, dopo la strappata di tutta l'orchestra, con una scrosciante cascata di accordi del pianoforte solo, un gesto imperioso che sembra volere concentrare su di sé il carico di una brillante presentazione. Ma non è sulla via del contrappunto tra pianoforte e orchestra che si svilupperà il percorso del Concerto. Anche sul piano formale il secondo tema deriva dal primo e ne è per così dire uno svolgimento governato dalla dialettica fra modo minore e relativo maggiore. Questo monotematismo latente impedisce una vera e propria sezione centrale di sviluppo basata sul contrasto, e tende invece a configurare, in un gioco di mutamenti e di scambi fra solista e orchestra, un processo di elaborazione simile a quello delle variazioni. Nel bel mezzo di questo processo s'inserisce una sorta di 'intermezzo' in tempo Andante espressivo e nella tonalità di la bemolle maggiore, nel quale si innesta il dialogo fra pianoforte e orchestra, particolarmente con i due flauti e il clarinetto; generalmente il pianoforte accompagna l'arco melodico con arpeggi, secondo una tecnica che conferisce all'insieme una continua mutevolezza di armonie e di colori. Bruscamente le ottave del solista riportano al tempo e alla tonalità iniziali, cui seguono la ripresa (Più animato, passionato), una estesa cadenza interamente scritta, e una coda (Allegro molto) nuovamente basata sull'idea primaria. L'Intermezzo, Andantino grazioso in fa maggiore, è avvolto in un'atmosfera di delicata intimità, in cui il pianoforte si sprofonda dialogando sommessamente con l'orchestra. Quando dai violoncelli si innalza un canto spiegato che a poco a poco si propaga a tutta l'orchestra, il pianoforte da solo si sottrae a questa nuova idea tematica, quasi proseguendo a parte un suo corso di pensieri. Ed è proprio il pianoforte che conduce, attraverso un passaggio di straordinaria successione armonica e timbrica, all'ultimo tempo, Allegro vivace, che presenta un materiale tematico affine a quello del primo. Qui viene però presentato un secondo soggetto distinto, e una grande varietà ritmica lo contraddistingue nei suoi sviluppi. Ancora audaci figure del pianoforte concludono il Concerto, che nella coda finale può ora slanciarsi liberamente a toccare traguardi schiettamente virtuosistici, assecondato dall'orchestra.

Il Concerto fu eseguito per la prima volta da Clara Wieck a Dresda il 4 dicembre 1845 sotto la direzione di Ferdinand Hiller.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Solo pochi anni prima dei difficili momenti in cui aveva composto questa musica tormentata e allucinata, Schumann aveva attraversato un periodo d'euforica felicità creativa: all'inizio del 1841 aveva composto con grande facilità e rapidità la sua prima sinfonia, diretta con successo da Mendelssohn al Gewandhaus di Lipsia il 31 marzo, quindi si era messo immediatamente al lavoro a una "sinfonietta" (completata l'8 maggio e pubblicata poi come Ouverture, Scherzo e Finale op. 52) e a una Fantasia in la minore per pianoforte e orchestra (completata in poco più d'una settimana, il 20 maggio), iniziando infine una seconda sinfonia, portata a termine il 9 settembre. Alcuni anni dopo, questi ultimi due lavori, ampiamente rielaborati, divennero il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54 e la Sinfonia n. 4 in la minore op. 120.

Fu nel giugno 1845 che Schumann decise di trasformare la Fantasia del 1841 in un regolare concerto in tre movimenti, componendo dapprima il finale e poi l'intermezzo centrale; il lavoro fu completato il 16 luglio ed eseguito l'1 gennaio 1846 da sua moglie Clara a Lipsia. Sviluppando e completando la Fantasia del 1841, Schumann realizzava l'idea romantica di scrivere una musica che superasse i limiti e le distinzioni tra le forme tradizionali: "qualcosa a metà tra sinfonia, concerto e grande sonata", come scriveva a Clara già nel 1839. In effetti il Concerto in la minore è lontanissimo dalla concezione classica, ignora le funzioni architettoniche dello sviluppo tematico e dell'armonia e non conserva traccia del rapporto dialettico tra solista e orchestra dei concerti beethoveniani (e rifiuta anche le esibizioni viruosistiche inseparabili dal concerto ottocentesco) ma è sostanzialmente un pezzo pianistico, con un accompagnamento orchestrale trasparente e leggero che riprende qua e là le melodie cantabili del pianoforte. Ma non hanno senso le critiche alla scarsa individuazione dei rispettivi ruoli del pianoforte e dell'orchestra, perché questo Concerto si basa proprio sull'armonica collaborazione tra il solista e l'organismo sinfonico e gran parte del suo fascino sta proprio nel felice colloquio che s'instaura tra loro.

Il primo movimento (Allegro affettuoso) è sostanzialmente monotematico: un tema delicato e sognante costituisce il punto di partenza non tanto d'uno sviluppo in senso classico quanto d'una serie di variazioni melodiche, alternando gli slanci, le ebbrezze e le passioni di Florestan alle rèveries di Eusebius. L'Intermezzo (Grazioso intimo) è un lirico monologo del pianoforte, quasi un'intima riflessione sui materiali melodici del primo movimento, nella cui parte centrale s'inserisce un ampio tema che passa dai violoncelli ai violini e ai clarinetti, interrotto e contradetto a più riprese dal solista. Il ritorno del tema dell'oboe, già ascoltato all'inizio del primo movimento, è un espediente formalmente sottile e molto poetico per collegare l'Intermezzo all'Allegro vivace conclusivo, il cui tema principale è chiaramente imparentato con quello dell'Allegro affettuoso: questo finale diventa progressivamente irruente e trionfale e richiede al solista di superare scogli e pericoli molto aspri (da notare anche le sfasature ritmiche tipiche dello stile di Schumann), sfociando infine in una vorticosa coda di elettrizzante slancio.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 18 marzo 1979
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del 63° Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, 4 maggio 2000
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 17 maggio 2001


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Ultimo aggiornamento 23 febbraio 2015