Romàn népi tàncok (Danze popolari rumene) per piccola orchestra, BB 76, SZ 68


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Jocul cu bâtă (Danza del bastone) - Energico e festoso
  2. Brăul (Danza della fascia) - Allegro
  3. Pe loc (Danza sul posto) - Andante
  4. Buciumeana (Danza del corno) - Moderato
  5. Poargă românească (Polka rumena) - Allegro
  6. Măruntel (Danza veloce) - Allegro
  7. Măruntel (Danza veloce) - Più allegro
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, cornoo inglese, 2 clarinetti, clarinetto piccolo, 2 clarinetti bassi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, triangolo, 2 tamburelli, piatti, grancassa, tam-tam, 2 arpe, archi
Composizione: 1917
Prima esecuzione: Budapest, 11 Febbraio 1918
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1922

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

È noto come Bartók sia stato un ricercatore appassionato e scrupoloso di temi e di materiale folcloristico autentico, sia per riposarsi dalle fatiche di compositore di "musica colta" e sia molto probabilmente per rinfrescare la propria fonte di ispirazione. Questa attività gli permise di annotare e di raccogliere mediante registrazioni un numero impressionante di melodie popolari provenienti dall'Ungheria, dalla Romania, dalla Slovacchia e perfino dall'Anatolia. Lo stesso compositore scrisse in uno schizzo autobiografico: «Lo studio di questa musica contadina era per me di decisiva importanza, perché esso mi ha reso possibile la liberazione dalla tirannia dei sistemi maggiore e minore fino allora in vigore. Infatti la più gran parte e la più pregevole del materiale raccolto si basava sugli antichi modi ecclesiastici o greci o anche su scale più primitive... Mi resi conto allora che i modi antichi ed ormai fuori uso nella nostra musica d'autore non hanno perduto nulla della loro vitalità. Il loro reimpiego ha permesso combinazioni armoniche di nuovo tipo. L'impiego siffatto della scala diatonica ha condotto alla liberazione dal rigido esclusivismo delle scale maggiore e minore ed ebbe per ultima conseguenza la possibilità di impiegare ormai liberamente e indipendentemente tutti e dodici i suoni della scala cromatica». Un esempio dell'intelligenza e del gusto del Bartók folclorico si può cogliere nelle sette brevi Danze popolari rumene, composte per pianoforte nel 1915 e trascritte poi per orchestra nel 1917. Sono componimenti piacevoli e musicalmente estroversi nei loro ritmi caratteristici, rispettosi dei costumi della comunità e della regione di origine, senza alcuna manipolazione accademica. La Danza del bastone, indicata da una melodia disuguale negli accenti, è stata raccolta a Mezözabad, nel distretto di Maros-Torda; la Danza della fascia affidata al violino è stata ascoltata a Egres, distretto di Tarontàl; della stessa provenienza è la Danza sul porto con il suono del violino in rilievo, mentre la Danza del corno proviene da Bisztra, distretto di Torda-Aranyos. La Polka rumena, vivace e spigliata, è stata registrata a Belényes, distretto di Binar. Le ultime due danze brillanti e festose provengono da Belényes e Nyàgra nella zona di Torda-Aranyos e concludono in un clima di cordialità popolaresca questo profilo folclorico di Bartók.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

L'interesse di Bartók per la musica popolare è testimoniato sia dalle ricerche sistematiche sulle autentiche radici paesane del folclore magiaro e centro-orientale, sia dallo studio di questo patrimonio etnico, sia infine dalla rielaborazione e ricreazione di esso nella propria opera compositiva. In questo percorso ragioni ideali e pratiche, formali e linguistiche, si intrecciano strettamente e si completano a vicenda, portando comunque a un fertile arricchimento delle risorse vitali in campo musicale. Per quanto questo processo di acquisizione e di trasformazione avvenisse sullo sfondo di esigenze innovatrici non estranee a una precisa coscienza nazionale, è significativo che Bartók le intendesse anzitutto quale basi della propria opera creativa e proclamasse la volontà di servire umilmente l'ideale «della fraternità dei popoli, della loro fratellanza davanti e contro ogni guerra, ogni conflitto»; attirandosi per questo, e proprio in virtù di un atteggiamento che a noi oggi pare esemplare, le critiche e le incomprensioni di coloro a cui in primo luogo intendeva rivolgersi con lo studio e l'emancipazione della musica popolare indigena.

Una prova indiretta di questa visione aperta e non partigiana del problema della musica popolare si ha nel fatto che i primi tentativi in questo campo riguardassero i canti popolari rumeni e conducessero, subito dopo la raccolta e lo studio di numerose melodie del dipartimento di Bihar - l'una e l'altro pubblicati dall'Accademia rumena -, a una serie di lavori basati su quelle esperienze: esperienze, appunto, nelle quali i modelli delle strutture melodiche e ritmiche oggetto d'indagine si travasano in saggi compositivi fusi con il bagaglio della cultura tradizionale.

Aprendo naturalmente nuovi spazi e nuove possibilità soprattutto su questo secondo versante. La gradualità con cui il passaggio si compie è indicativa della personalità di Bartòk. Dapprima è il pianoforte, il mezzo a lui più congeniale, a incaricarsi di questa traduzione che è insieme trascrizione e ricomposizione: nel 1915, la Sonatina su melodie popolari rumene, le Sette danze popolari rumene, i Canti natalizi rumeni; indi, o contemporaneamente, il coro coi Due canti popolari rumeni, cui si affiancano i Nove canti rumeni per canto e pianoforte. La versione per orchestra delle Sette danze popolari rumene, del 1917, costituisce il compimento di questa fase e l'inizio di più estese relazioni fra la tradizione popolare e la personale appropriazione di essa da parte del compositore moderno.

Semplificando, si può dire che l'analisi e la fissazione delle strutture intrinseche dei modelli melodici desunti dalla ricerca porta adesso al tentativo di ricostruire per mezzo dell'orchestra il suono e i colori dell'espressione popolare: a un intento conoscitivo ne subentra dunque uno artistico. Onde evitare scarti troppo bruschi e un innalzamento improprio del tono originale, il quale peraltro non avrebbe potuto essere reso adeguatamente ricorrendo arcaicamente a mezzi primitivi - ecco in sostanza il senso dell'operazione lucidissima di Bartòk - il compositore sceglie un organico ridotto, riprendendo l'esempio dell'orchestrina di paese, una piccola orchestra cioè formata da due flauti, due clarinetti, due fagotti, due corni e archi. Proprio in conseguenza dei mezzi limitati, la ricerca timbrica diviene così preminente oscillando fra i due poli opposti della ricostruzione di un paesaggio sonoro anch'esso presumibilmente popolare e della modernità che aggiunge tratti e figure inediti a quel paesaggio, senza però tradirne lo spirito. Un esempio lampante è già nel primo brano. L'esposizione della melodia da parte di clarinetti e primi violini all'unisono genera un effetto sonoro misto, insieme popolare e colto; l'asimmetria ritmica del canto è compensata dall'ostinato dell'accompagnamento, che introduce un elemento normativo per così dire della tradizione evidenziando però nello stesso tempo la freschezza e la naturalezza della vitalità popolare: irregolare solo perché dotata di altre regole. Ed è questo rispecchiamento dei due mondi a rappresentare l'aspetto creativo della composizione.

Ognuna delle sette danze, oltre al luogo di provenienza, reca un titolo che ne definisce il carattere e la destinazione d'uso. Abbiamo così, nell'ordine, Danza col bastone, Girotondo, Sul posto, Danza del corno, Polca rumena, Passettino di Belényes e Passettino di Nyàgra. Il riferimento a movimenti e passi di danza tipici delle diverse tradizioni contadine arricchisce la musica di connotazioni gestuali, accrescendo così l'evidenza plastica delle figure ritmiche e melodiche nel contesto tutto moderno del tessuto armonico e della veste timbrica.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Compositore che, tra i maggiori della internazionale «generazione dell'Ottanta» o giù di lì, è stato ormai messo alla pari o quasi con Schönberg e Strawinsky, quindi anche con Hindemith, Bela Bartok è ungherese fin nelle midolla; come Zoltan Kodaly, che però è di statura artistica assai minore a lui. Ungherese, o magiaro; nutrito di tutti quei complessi apporti etnologici di paesi viciniori, via via sbalestrati e trasferiti in diversi raggruppamenti nazionalistici e politici, specie negli anni fra le due guerre mondiali. Bartok, come Kodaly, è meritevole di studi etnologico-musicali di primissima importanza, condotti e riferiti con metodo perfettamente scientifico. Egli viaggiò e registrò documenti, attingendo direttamente sui luoghi, indagando e confrontando le fonti, catalogandole, depositando quindi tali, documenti e scrivendone. Ciò, praticamente lungo tutta la sua vita europea, cioè fino a quando fu costretto all'esilio americano per le persecuzioni razziali. Fatto, poi, importantissimo in Bartok e molto più valido artisticamente che non in Kodaly, è che tale «humus» nazionalistico fu da lui trasposto, ma trasfigurato, anche nelle sue composizioni di musica «pura». Vedasi, ad esempio nel Divertimento per archi, nella Musica per archi, celesta, pianoforte e percussione, nel Concerto per orchestra, come nei tempi «finali» esploda con gioia l'etnicismo, tuttavia riassunto nello stile del concertismo rigoroso. Ora, dunque, i documenti diretti recuperati alla storia del folclore; ora, certa loro reinterpretazione ed integrazione nel contesto d'una forma concertistica pura; ora, anche, il prodotto che, destinato alla pratica del concerto colto, riflettesse il documento etnologico in una confezione piuttosto fedele alla tradizione direttta. In questo terzo tipo sono comprese varie Suites bartokiane di danze e di canti: tra cui le Danze popolari rumene.

A proposito degli studi di Bartok sul folclore rumeno, va ricordata una lunga polemica condotta contro di lui, e da lui circostanziatamente ribadita, circa il modo di intendere l'area «rumena» e circa le rispettive autenticità delle fonti. Questa collana di sette Danze rumene fu scritta da Bartok prima per pianoforte, nel 1915, poi nel 1917 fu strumentata per piccola orchestra. Tutte collegate, queste Danze dichiarano precisi riferimenti regionali cui rispettivamente hanno attinto; e formano un tutto compatto, nell'ambiente armonico modale ovviamente omogeneo, nella sequenza e nei contrasti dinamici e ritmici, oltre che in quelli espressivi, dall'accorata e nostalgica malinconia all'allegria sfrenata.

La prima, «Danza col bastone», è in tempo Molto moderato; quindi la «Danza della fascia» è in Allegro. La terza, «Danza sul porto», è in tempo Moderato. La quarta, «Danza del corno», in tempo Andante. La quinta è una «Polka rumena», Allegro; cui, strettamente collegate, seguono in Allegro e Allegro vivace due danze denominate «Maruntel»: brillantissima conclusione.

Angiola Maria Bonisconti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 21 Marzo 1986
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, Teatro Comunale, 23 febbraio 1985
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 21 gennaio 1971


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Ultimo aggiornamento 15 luglio 2013