La raccolta del Mikrokosmos, 153 piccoli pezzi in ordine di difficoltà progressiva divisi in sei libri, a cui Bartók attese tra il 1926 e il 1939, è uno dei monumenti della didattica pianistica del nostro secolo, uno strumento per insegnare il pianoforte legandolo alla evoluzione della musica moderna. Bartók sembra qui riallacciarsi a ciò che Johann Sebastian Bach aveva fatto due secoli prima, coniugare la pratica dell'apprendimento sulla tastiera con la realizzazione rigorosa di un linguaggio ad essa applicato: e questo linguaggio non è solo quello della modernità, ma anche della coscienza nazionale radicata nel canto popolare, nella quale nuovi modi, ritmi, scale e melodie prendono il posto della scala temperata e del sistema tonale. Nel trascrivere per due pianoforti 7 pezzi della grande raccolta Bartók sembra aver tenuto presente una sorta di rappresentatività capace non soltanto di reggere il peso di una elaborazione ma anche di offrire uno spaccato della sua ricerca tecnica e linguistica sul pianeta pianoforte. Così il primo (Ritmo bulgaro, in origine n. 113) è una combinazione delle possibilità metrico-ritmiche di un modello direttamente attinto alle fonti del materiale popolare e immesso in una sfera colta senza venir deformato; il secondo (Studi sugli accordi, n. 69) è invece un esempio di ricerca armonica affacciato sull'atonalità; il terzo (Perpetuum mobile, n. 135) è una specie di toccata vertiginosa di piglio nuovamente barbarico; il quarto (Staccato e legato, n. 123 ) offre una soluzione originale, quasi umoristica, a problemi tecnico-esecutivi solo in apparenza contrapposti, mentre il quinto (Nuova canzone popolare ungherese, n. 127) è un prototipo di melodia popolare pittorescamente tzigana reinventata su spunti originali, con ironia e gusto impagabile; il sesto e il settimo (Invenzione cromatica e Ostinato, nn. 145 e 146) riassumono due principi basilari e peculiari dello stile di Bartók, l'esasperazione cromatica innervata di contrappunto e l'ossessione dell'ostinato, elemento primordiale del ritmo. Va da sé che ogni intenzione didattica viene trascesa in queste trascrizioni, che diventano a tutti gli effetti pezzi da concerto di straordinario impegno: un vero concentrato dello stile pianistico e compositivo bartókiano.
Sergio Sablich