Christus am Öelberge (Cristo sul Monte degli ulivi), op. 85

Oratorio per soli, coro ed orchestra Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
Testo: Franz Xaver Huber Organico: soprano, tenore, basso, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: 1814
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 5 Aprile 1803
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1811
Argomento:

Cristo, oppresso dall'angoscia per l'imminente passione, invoca il Padre chiedendone pietà. Scende un Serafino, a ricordare a Gesù che senza sacrificio, l'umanità non potrà conoscere redenzione. Quando sopraggiungono i «guerrieri» per arrestare Gesù, i discepoli si disperdono e resta, solo, Pietro; è lui a quel punto a dichiararsi pronto a difendere, perfino con la spada, il Maestro. Gesù eroicamente va incontro al Calvario, mentre il coro degli angeli osanna la sua gloria e la sua redenzione.

Guida all'ascolto (nota 1)

Come quaranta anni dopo sarebbe stato per Schumann il sinfonismo classico, lo stesso fu per Beethoven, nel 1801 o 1802, l'Oratorio, un genere musicale, cioè, in cui l'artista non trovava l'espressione naturale e diretta del suo genio.

Del Christus non sappiamo precisamente quando e per quale occasione o sollecitazione Beethoven l'abbia composto. Fu eseguito la prima volta al Theater an der Wien il 5 aprile 1803 in un concerto di proporzioni enormi nel quale si dettero le prime esecuzioni anche della Seconda Sinfonia e del Terzo Concerto per pianoforte e orchestra insieme alla già nota Prima Sinfonia. L'Oratorio ebbe successo, fu ripetuto almeno quattro volte nel corso dell'anno e fu ripreso spesso negli anni successivi. Ancora nel 1825 Karl Holz annota in uno dei "Taccuini di conversazione" che fino a quel momento il Christus ha sempre riempito i teatri. Poi quando nel corso dell'Ottocento, con la progressiva determinazione di un rapporto spirituale privilegiato tra l'idealità romantica e le innovazioni creative beethoveniane, furono scartate le poche pagine di Beethoven in stile tradizionale o eclettico, anche il suo unico Oratorio, questo Christus am Ölberge, cadde in una specie di oblio (è significativo, per esempio, il fatto che alcuni dei massimi interpreti di Beethoven e del sinfonismo romantico tra Otto e Novecento non l'abbiano mai diretto). Ed effettivamente si può affermare che il Christus non regge il confronto non diciamo con la Nona Sinfonia o con la Missa solemnis ma neppure con la Missa op. 86 in do maggiore.

Nonostante ciò il Christus non merita di essere dimenticato. È vero che Beethoven stesso dimostrò di non averlo in grande considerazione, in una lettera scritta nel 1811 alla ditta Breitkopf e Härtel (il Christus fu, infatti, stampato per la prima volta in quell'anno, il che spiega perché abbia avuto un numero alto nel catalogo delle opere): «A proposito dell'Oratorio c'è da tener conto che è stato il mio primo lavoro giovanile del genere, scritto in quattordici giorni in un'agitazione terribile e tra altre angosciose contrarietà della vita (mio fratello aveva una malattia mortale) [...]. Oggi un Oratorio lo scriverei in maniera tutta diversa da allora, questo è certo». E anche il testo, mediocre davvero, egli lo accettò così come era, collaborando un po' con l'autore, che era un librettista a quei tempi noto (questo Huber aveva scritto, tra l'altro, alcuni libretti per opere e Singspiele di Süssmayr, ma la sua notorietà la doveva soprattutto a Das unterbrochene Opferfest, un'opera eroicomica con musica di Peter Winter, che dal 1794 aveva successo a Vienna).

Tuttavia pare certo che l'accenno autobiografico di Beethoven nella lettera del 1811 non sia del tutto preciso e che il ricordo della fretta e delle due settimane di lavoro si riferisca forse a un rifacimento della musica in occasione del concerto del 1803: ma è probabile che l'Oratorio fosse stato scritto, tutto o in gran parte, uno o due anni prima.

Questa questione delle date e della maniera in cui Beethoven può aver creato il suo Oratorio, non è del tutto superflua. Il Christus, infatti, era il primo lavoro di musica vocale drammatica che Beethoven componeva ed era, inoltre, la prova che egli voleva presentare delle sue capacità in questo campo alla direzione e al pubblico del Theater an der Wien. È vero che nel 1801 egli aveva scritto la musica per un balletto allo Hoftheater (Die Geschöpfe des Prometheus, Le creature di Prometeo), ma un progetto con solisti e coro presentava altre esigenze e suscitava attese superiori.

L'opera, il dramma in musica, era al centro dei pensieri di Beethoven ed era anche uno degli argomenti principali nelle sue relazioni pratiche in quegli anni tra il 1801 e il 1803. Ed è certo che al proposito, perseguito con tanta decisione, di una creazione teatrale-drammatica non era estranea la rinnovata, prodigiosa energia mentale ed etica da cui egli era animato dopo la crisi spirituale e psicologica del 1802. Proprio nel 1802 o 1803 si fa iniziare il decennio del cosiddetto "secondo stile" (anche se la tripartizione delle epoche creative di Beethoven, già sostanzialmente fissata da Schlosser nel 1828, e poi ripetuta e approfondita nelle celebri monografìe di Schindler, 1840, e di W. von Lenz, 1825-53, oggi è contestata) e in quel decennio per Beethoven tutto è conquista, audacia morale, potenza costruttiva. Pare giusto pensare, quindi, che il Christus, posto all'inizio di un così forte slancio di decisioni e di pensieri positivi, sia, sì, un lavoro incerto nel carattere e nell'architettura (come sarebbe stata due anni dopo la Leonore) e impacciato da molte convenzioni e imitazioni, ma non che sia stato concepito in modo approssimativo e distratto, come dice un giudizio diffuso e come in fondo Beethoven stesso, insoddisfatto anni dopo di quel suo lavoro, fece credere.

Dunque, il Christus fu per l'autore un esercizio nello stile grandioso e tradizionale dell'opera seria, dell'Oratorio religioso e fu anche una preparazione al dramma in musica. Insoimma, considerandolo con l'attenzione e il rispetto che non ha avuto ma che esso merita (che un genio come Beethoven non sperpera mai le sue forze), oggi noi vediamo che per Beethoven questo suo unico Oratorio segnò il passaggio dalla meditazione di modelli ideali (Il flauto magico di Mozart e La creazione di Haydn) alla creazione personale (Fidelio). Non si sa quanto religioso fosse Beethoven, ma la sua fede personale, quale che fosse, qui non ha importanza, anche se l'argomento dell'Oratorio è cristiano e evangelico. Il tema spirituale della sua musica è sempre la dignità umana e la sua conquista, drammatica per ognuno di noi. E questo è il contenuto anche dei momenti alti del Chrìstus: la formidabile fede umanistica che nello stesso anno fu gloriosamente illuminata dalla musica della Terza Sinfonia.

Ma della sua duplicità di attitudine creativa il Christus subisce le conseguenze. Come si è detto, il testo poetico di Huber è una misera cosa, niente più che una parafrasi diluita delle pagine, scarne e sublimi, dei tre Vangeli sinottici (soprattutto Luca, 22, 39-46, che è l'unica che parla dell'angelo che consola Gesù; per il furore di Pietro, invece la fonte è in due righe di Giovanni 18, 10-11).

I personaggi - che sono Gesù, uno degli angeli serafini, l'apostolo Pietro, le guardie, i discepoli - recitano in settenari e ottonari arcadici e artificiali, fiacchi pensieri di teatro edificante. Da versi simili era difficile che Beethoven ricevesse una spinta verso lo stile drammatico cui aspirava e che potesse attuare un efficace sistema di contrasti. Ci mise, perciò, di suo ciò che poteva e conosceva, una tecnica strumentale-sinfonica ormai matura e robusta (già splendida nell'Introduzione, che è una grande pagina, intensa e dolorosa; ma anche evidente nei brevi incisi orchestrali, entro gli episodi o tra un episodio e l'altro) e la capacità di reagire emotivamente alle parole e ai pensieri che, in qualunque modo, celebrano un'immagine del dolore umano e della forza morale di vincerlo.

Ma gli rimase, è sicuro, il rammarico dell'occasione mancata. Ancora nel 1824, qualche giorno prima di presentare a Vienna e al mondo la Nona Sinfonia egli, in una lettera alla Geseìlschaft der Musikfreunde, parlò ancora del suo Oratorio giovanile; e aggiunse: «Ma per quel che mi riguarda, preferirei mettere in musica addirittura Omero, Klopstock, Schiller; almeno, anche se ci sono difficoltà da superare, quei poeti immortali lo meritano».

Franco Serpa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 21 marzo 2009

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Ultimo aggiornamento 19 maggio 2015