Quartetto per archi n. 14 in do diesis minore, op. 131


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Adagio ma non troppo e molto espressivo
  2. Allegro molto vivace (re maggiore)
  3. Allegro moderato (fa diesis minore)
  4. Andante ma non troppo e molto cantabile (la maggiore)
  5. Presto
  6. Adagio quasi un poco andante (sol diesis minore). Allegro
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Gneixendorf (Vienna), 15 Agosto 1826
Prima esecuzione: Vienna, 5 Giugno 1828
Edizione: Schott, Magonza 1827
Dedica: Barone Joseph von Stutterheim
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto op. 131 appartiene all'ultimo periodo della produzione di Ludwìg van Beethoven (composto tra novembre 1825 e luglio 1826) e rientra tra le "opere tarde", un concetto non privo di fraintendimenti. Gli studiosi, infatti, non sono concordi nell'analisi, e se alcuni parlano di estrema soggettività (evidente nell'enfasi lirica di molti temi), altri riscontrano un ripiegamento nell'oggettivita, caratterizzato dal ricorso a sofisticate tecniche polifoniche e contrappuntistiche. Proprio il Quartetto in do diesis minore è l'emblema di questa difficoltà di indagine visto che si apre con una Fuga (forma simbolica della razionalità) ma si evolve in modo poetico, aderendo al mutare repentino dei sentimenti. L'ambivalenza, il ricorso a strutture non più evidenti, l'indeterminatezza dei riferimenti melodici, la «spezzettatura rapsodica della superficie» sono le caratteristiche precipue della sua ultima produzione. La successione delle idee, dei temi, delle armonie, segue un filo narrativo diverso rispetto al passato: si ha l'impressione più di un percorso psicologico che non di una "forma" così come ce l'ha consegnata la storia. «Il compositore ci fa partecipi dell'atto creativo; ci introduce nel laboratorio delle sue idee» (Sciarrino) e la nostra adesione, come ascoltatori, dovrà essere dunque diversa, attenta, ma soprattutto libera da schemi formali e di giudizio.

Tutti gli ultimi Quartetti hanno un sottile filo rosso che li unisce, e si tratta sempre di brevi incisi tematici basati sull'uso del semitono come elemento germinatore. Più che l'idea di una scelta operata da Beethoven allo scopo di offrire agli ultimi Quartetti i connotati di un ciclo, il compositore sembra voler scandagliare fino alle estreme conseguenze le possibilità di un'unità melodica indivisibile (com'è il semitono) ed elevarla ad elemento motivico essenziale. Ecco perché, nonostante negli ultimi Quartetti circoli un'atmosfera familiare, essi appaiono così diversi. In ognuno Beethoven ha sperimentato la scomposizione dei parametri (ritmo, melodia, armonia) fin quasi al punto di rottura. Questa tendenza all'astrazione non significa però rinuncia alla pienezza del suono né tantomeno un'abdicazione delle forme tradizionali a favore di nuove architetture formali.

Nei suoi percorsi tonali Beethoven utilizza quella che Schönberg definì "armonia vagante", ossia un'armonia che è indirizzata ad una meta ma non si riferisce ad un centro. Con Beethoven dunque comincia a perdersi l'idea di una tonalità centrale di riferimento a favore di una multifunzionalità armonica, molto utilizzata nella musica del Novecento. Anche il "vecchio" concetto di melodia subisce profonde mutazioni e tutti i temi utilizzati dal compositore si riducono a poche battute; ogni tentativo di sviluppare una linea orizzontale si incaglia in un vuoto, un'interruzione, tanto che sono più le pause (e non le note) a caricarsi di senso espressivo. Per quanto riguarda il ritmo e l'andamento dei movimenti non sembra più possibile far riferimento a schemi preesistenti; proprio nell'op. 131 viene fatto un uso molto libero dei tempi (solo nel quarto movimento vi sono sette cambiamenti) e il ritmo è sempre piegato a fini espressivi: le battute non contengono più i valori previsti ma debordano o sembrano restringersi. Anche l'insieme strumentale del Quartetto viene rivisitato: Beethoven economizza le presenze e le assenze degli strumenti, calibra i registri dal grave, al centro all'acuto.

Lo stesso autore si rese conto che quello in do diesis minore era un Quartetto particolare e scrivendo all'editore Schott definì la composizione «Insieme di pezzi diversi presi qua e là», preoccupandosi di numerare i tempi affinchè non vi fossero confusioni riguardo alle intenzioni originarie. Come già detto, il primo movimento si apre con una Fuga molto vicina a quelle bachiane per il rigore architettonico e il carattere Apollineo certamente in contrasto con quello Dionisiaco della Grande Fuga op. 133. Le quattro voci entrano in ordine discendente (dal violino al violoncello) e ad ogni entrata l'orizzonte armonico sembra espandersi, tanto che Beethoven è "costretto" a cambiare tonalità; anche il ritmo si fa più complesso, il flusso della Fuga è rotto da figure sincopate e note brevi. Dopo un episodio in la maggiore che rasserena gli orizzonti della tonalità d'impianto (do diesis minore), il contrappunto rigoroso riconquista terreno e ritorna il tema sia in versione originale (alla viola), sia modificato per aumentazione (al violoncello). Il secondo movimento sgorga naturalmente dal primo e potremmo definirlo uno Scherzo in tempo rapido e dal tono gentile (compare il primo pianissimo). Ritornano, in ordine diverso, i gruppi di semitoni del tema della Fuga e più in generale sembra di riascoltare le linee addolcite dell'episodio in la maggiore del primo movimento. A poco a poco il fluire calmo viene increspato da accenti improvvisi (sforzati sempre più frequenti) che modificano sostanzialmente il carattere di questo Allegro molto vivace, accentuandone un aspetto drammatico inizialmente estraneo. Il terzo movimento consta di sole undici misure in stile recitativo e serve da collegamento al successivo Andante ma non troppo e molto cantabile che è il nucleo centrale dell'intero Quartetto.

Sul quarto movimento, infatti, sembra concentrarsi il massimo del lavoro compositivo, sia per quanto riguarda la macrostruttura, sia per i singoli elementi impiegati. Formalmente si tratta di un tema con variazioni: il tema è estremamente semplice (come si conviene ad un'idea che deve essere sottoposta a molte modifiche) e le variazioni sono di tipo "strutturale" (il compositore, cioè, prende un singolo elemento del tema - un intervallo, un ritmo - e lo usa come punto di partenza per una nuova idea musicale che non ha più affinità apparenti con il tema stesso). Con il procedere delle variazioni il tessuto quartettistico si fa più elaborato, sottile e imprevedibile; gli strumenti sono sempre più autonomi e il loro "dialogo" si trasforma in un soliloquio estremamente ricco di idee, sfumature dinamiche (dal forte al sotto voce, passando per il piano dolce, il pianissimo, lo sforzato piano, ecc.), addensamenti e rarefazioni.

Con il quinto movimento (Presto) torniamo a qualcosa di più familiare. Si tratta di uno Scherzo che risponde appieno a tutte le caratteristiche di tale forma: tempo veloce, tema chiaro e "orecchiabile" (non è altro che l'accordo fondamentale arpeggiato), architettura semplice, trama strumentale poco elaborata (spesso gli archi suonano all'unisono o all'ottava). Come già il terzo, anche il sesto è un movimento brevissimo (ventotto battute appena) la cui presenza serve a interrompere, con l'andamento lento (Adagio quasi un poco andante), la successione del Presto e dell'Allegro finale. L'ultimo movimento è una sorta di compendio della composizione; in particolare Beethoven riprende il tema della Fuga iniziale trasformandone la linea melodica e il carattere. È un esempio straordinario di come dalla stessa cellula possa scaturire materiale tanto diverso. Con l'op. 131 Beethoven aveva forse trovato una via nuova alla scrittura per Quartetto: queste pagine lasciavano un'eredità che ancora oggi stentiamo ad accogliere e comprendere.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Con il Quartetto in do diesis minore opera 131 Beethoven lascia la sua pagina più complessa ed enigmatica nel gruppo, già di per sé ermetico, degli ultimi quartetti. Il principio in base al quale ogni composizione trova all'interno di sé stessa le regole per una propria specifica articolazione si riscontra qui al più alto grado, con sette movimenti che si succedono in un lungo "continuum", senza soluzione di continuità, e in cui le forme tradizionali vengono trascese o riformulate in modo peculiare. Non a caso la partitura attirò gli entusiastici apprezzamenti di Wagner. Nell'«Adagio ma non troppo e molto espressivo» che apre il Quartetto troviamo ancora una fuga, ma di carattere meditativo, basata su un soggetto di inconsueta levigatezza, antiscolastico, che percorre con imprevedibili peregrinazioni armoniche tutto il movimento. Il secondo tempo, «Allegro molto vivace», non aderisce compiutamente a nessuna forma chiaramente riconoscibile, ma a qualcosa di mezzo fra una forma sonata e un rondò; ha peraltro carattere di scherzo, è privo di sezioni di sviluppo ed è sostanzialmente basato sulle trasformazioni di un unico motivo guizzante e sfuggente.

Il terzo movimento, «Allegro moderato-Adagio» è in realtà composto di appena 11 battute cadenzali e introduttive rispetto al fulcro della partitura, l'«Andante ma non troppo e molto cantabile» (quarto movimento), articolato in un tema con sei variazioni, dove l'arte della variazione dell'ultimo Beethoven trova uno dei punti più alti, per la capacità di trascendere e sublimare progressivamente il tema. Questo possiede in realtà uno schema di "doppia variazione" e presenta sommessi e levigati giochi di inseguimento fra i due violini. La prima variazione mostra già un infittito intreccio di scrittura fra gli strumenti. Nella seconda violino e violoncello dialogano sull'accompagnamento di viola e violoncello, che entrano poi anch'essi nell'ordito. La terza variazione («Andante moderato e lusinghiero») contrappone, in intrecci canonici, i due strumenti gravi e poi quelli acuti, e infine li somma. La quarta («Adagio») alterna un fluido fraseggio coll'arco a improvvisi pizzicati. La quinta («Allegretto») è priva di un vero tema, e propone piuttosto una serie di fasce sonore eteree e trasmutanti. La sesta («Adagio ma non troppo e semplice») parte da una serie di sommessi blocchi di accordi, vede l'inserimento sempre più insistito di un gruppetto del violoncello, accoglie una cadenza separata per ciascuno dei quattro strumenti e sfocia in una coda composita.

Segue, come quinto movimento, uno scherzo dal tema fantastico e sussurrato, con un trio dalla ritmicaaffine e dalla medesima ambientazione, il che crea l'impressione di una serrata e continua compattezza del movimento. Ancora un tempo brevissimo (dopo il terzo) è il sesto, «Adagio quasi un poco andante», un canto elegiaco introduttivo rispetto al finale. È questo l'unico movimento propriamente in forma sonata, aperto da un vigoroso unisono seguito da un tema affannoso, cui si contrappone un secondo tema apertamente lirico; il primo tema è alla base di uno sviluppo fugato, come della vasta coda che chiude con perorazioni di intensa drammaticità il tempo e l'intero Quartetto.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 14 Dicembre 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 27 gennaio 1994

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 4 aprile 2013