Sinfonia n. 5 in do minore op. 67


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro con brio
  2. Andante con moto (la bemolle maggiore)
  3. Allegro
  4. Allegro (do maggiore)
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, corno di bassetto, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: 1806
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 22 Dicembre 1808
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1809
Dedica: Principe Joseph Max von Lobkowitz e Conte Andreas Razumovsky
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La stesura della Quinta Sinfonia beethoveniana occupa un periodo di tempo assai ampio. Dopo i primi abbozzi risalenti al 1804, il compositore la riprese nel 1807 e la completò solo nella primavera dell'anno successivo; una testimonianza della particolare cura e attenzione che Beethoven riservò al suo lavoro, frutto di un processo creativo lungo e sofferto.

La «prima» della Sinfonia ebbe luogo il 22 dicembre 1808 nel celebre teatro viennese An der Wien sotto la direzione dello stesso autore. Durante il concerto, dalla durata interminabile, - secondo l'uso avvalso nell'epoca - furono eseguiti anche la Sesta Sinfonia, sezioni della Messa in do maggiore, il Quarto Concerto per pianoforte e orchestra e altre composizioni ancora.

All'atto della pubblicazione la Sinfonia venne dedicata al principe Andrej Kyrillovic Razumovskij (noto anche per la dedica dei celebri quartetti dell'op. 59) e a Franz Joseph Lobkowitz (a lui Beethoven aveva dedicato anche la Terza Sinfonia), preziosi mecenati e amici del compositore.

Come per la Terza Sinfonia, Beethoven torna nella Quinta a un fitto reticolo di riferimenti allegorici e morali, un simbolismo perfettamente radicato nella cultura filosofica e spirituale del tempo, fortemente imbevuta di concezioni illuministiche.

Pensiamo già solo al ritmico e lapidario inciso d'apertura che l'orchestra disegna subito in modo netto e perentorio, «il destino che bussa alla porta» - secondo l'intepretazione che un giorno ne diede l'amico Anton Schindler.

Vi si legge la reazione di un'umanità in perenne lotta contro il proprio drammatico destino, un destino senza volto, cieco, spesso implacabile, contro il quale l'uomo si erge a combattere eroicamente in nome della ragione. E solo in virtù di questo atto di ribellione che il mondo giunge a trionfare sulle forze delle tenebre, sui pregiudizi e sulla superstizione.

Così nella Sinfonia vediamo continuamente emergere gli opposti in lotta, in una gigantesca visione antagonistica in perenne mutamento: contrasti violenti si susseguono a momenti più mitigati e lirici, passi ritmici tensivi si alternano a più morbidi accenti, la concitazione melodica si confronta con linee tematiche più tenui ed addolcite nel loro profilo. Infine i quattro movimenti paiono procedere in modo ineluttabile verso un compimento che pare già presagito, attraverso una sapiente progressione simbolica che conduce all'apoteosi finale.

È un Beethoven titanico, quello della Quinta. Ma è anche un Beethoven più asciutto e meno enfatico rispetto a quello dell'Eroica. La forma stessa è essenziale, senza espansioni retoriche, la coerenza interna rigorosa. I temi sono netti e concisi, come lo scarno inciso d'apertura, un motto di sole quattro note. Così si apre il primo movimento, l'Allegro con brio. Ancora sull'inciso «del destino» è fondato il primo tema, che percorre interamente la Sinfonia rendendola ulteriormente più solida ed unitaria. Proprio a questa estrema concentrazione tematica, a questa sobrietà di caratteri va ricondotta la grande efficacia espressiva che la Sinfonia in do minore esprime. Una vigorosa frase di transizione, consistente nella trasformazione del primo tema e dell'inciso d'apertura, porta al delicato secondo tema principale, introdotto da uno squillante richiamo dei corni pure ricavato dal motto d'apertura.

Questo momento disteso e cantabile però non riesce a rimuovere il ricordo dell'inciso iniziale, che infatti presto si fa di nuovo avanti sotto forma di ripetute iterazioni nella parte finale dell'Epilogo. Si conclude così l'Esposizione, la prima grande sezione di forma-sonata in cui il movimento è costruito. Anche la parte centrale di Sviluppo è aperta dalle quattro scolpite note del motto, seguite da una varia ed articolata elaborazione del primo tema. E il momento di maggior intensificazione drammatica della Sinfonia, là dove sono più vividi i contrasti armonici, le opposizioni motivico-dinamiche e più marcata la densità contrappuntistica.

Nella Ripresa Beethoven inizia a ripresentare - secondo la norma - il materiale dell'Esposizione. Ma, dopo il ritorno del motto e del primo tema, ci riserva una sorpresa: l'oboe, lasciato improvvisamente solo, intona in modo inaspettato un recitativo dai caratteri intensi e delicati: è un momento di calma e commozione, quasi una sosta incantata ed assorta di fronte alla lotta titanica intrapresa.

La meccanica frase di transizione riporta all'impeto originario, poi la Ripresa prosegue nel richiamo che prima era stato enunciato dai corni, ora lasciato al timbro nasale dei fagotti. Dopo il secondo tema, interviene infine l'Epilogo. Beethoven compie qui ancora una deroga alla regola: l'Epilogo non si conclude, ma prosegue in una ulteriore e imprevista frase enfatica costruita sul motto del primo tema sino ad un fragoroso climax, ancora sul motto. Nella Coda una breve ripresa del primo tema conclude «eroicamente» il movimento.

L'Andante con moto corrisponde ad un momento di stacco emotivo, con due temi cantabili di matrice popolare.

Mentre però il secondo tema nel corso del brano viene semplicemente ripreso e in sostanza solo nell'accompagnamento subisce alcune varianti ornamentali, il primo tema si ripresenta più frequentemente ed è sottoposto ad una assai articolata serie di variazioni che ogni volta lo ripropongono in modo diverso nel profilo melodico, nella quadratura ritmica, nell'orchestrazione.

Dopo la fluente prima variazione, in cui il primo tema è letteralmente diluito nel moto denso di semicrome dipanato da viole e violoncelli - mentre il clarinetto vi sovrappone la sua voce piena e pastosa -, nella seconda variazione un flusso ancora più movimentato di quartine di biscrome passa dal gruppo di viole e violoncelli a quello dei violini primi e poi ancora a celli-contrabbassi, là dove l'orchestra tutta inizia a fremere con trasporto su di una robusta ed energica enunciazione corale.

Nella terza variazione i legni eseguono il primo tema in modo minore e a note staccate e puntate, offrendo una versione assai lontana dall'originale. Il ritmo è di marcia e l'incedere nobile e solenne, sostenuto dal ben scandito pizzicato degli archi.

Ora le frasi di collegamento, ora i già citati ritorni del secondo tema costituiscono i raccordi per l'avvento di ogni nuova variazione. La quarta, ad esempio, è preparata da una scala prima intonata timidamente da flauto e clarinetto, poi resa via via scorrevole dalla spinta dell'orchestra che letteralmente prorompe nella grandiosa enunciazione del tutti. Una zona di Epilogo si incarica di condurre a compimento l'Andante.

Il terzo movimento, l'Allegro, si apre con un fosco e misterioso arpeggio dei bassi cui risponde la voce più chiara di violini e clarinetti. A questo primo elemento ne fa seguito un secondo più netto e deciso nello squillo dei corni, in realtà una variante del motto «del destino» del primo movimento, che immediatamente pare risvegliare antichi presagi.

Inizia uno scambio tra i due elementi, che cominciano a i confrontarsi dialetticamente ed in modo serrato nelle varie regioni orchestrali.

Nella parte centrale interviene un pressante fugato affidato ai poco disinvolti contrabbassi e violoncelli, presto imitati dai violini. È un episodio scherzoso, dalle tinte ironiche e tipicamente beethoveniane, reso ancor più grottesco dalle frequenti e dispettose ripetizioni e anche dall'imprevisto aggiungersi, poco più avanti, dei pesanti fagotti.

Ad ogni ripresa esita, poi si riavvia senza interrompersi. Nella parte conclusiva, dopo il solito avvio ripetitivo e titubante, il soggetto punta verso l'alto, trasmigra dal gruppo dei contrabbassi-violoncelli a quello dei violini, poi su sino al primo flauto; infine, come deprivato del peso, si spegne gradualmente in un tenue diminuendo, «sempre più piano» ed in pizzicato.

La scorciata Ripresa è fatta in termini sbrigativi, quasi dovesse risolversi in modo defilato, e con fare commediante.

Il primo tema, ad esempio, torna quasi «regolarmente» all'inizio, però è subito come falsato dall'interruzione del grande respiro in «legato» che l'aveva contraddistinto nella prima parte: qui sono utilizzate ingegnose pause di semiminime poste all'interno della frase, in modo da frazionarla. Poi viene ripetuto e si trasforma in un vezzoso pizzicato.

Anche il secondo tema non è più solenne come prima, ma risuona piano, come estraniato, alleggerito nella voce solitària del primo clarinetto, o dell'oboe, o del flauto, o ancora nel pizzicato leggero dei violini.

Il pedale immobile degli archi, su una lunga serie di colpi di timpano, annuncia infine la Coda. Inizia in un cupo e turbato pianissimo che però, progressivamente, aumenta d'intensità, si schiarisce ed infine - al culmine di un poderoso crescendo - sfocia nel quarto movimento.

Si apre così l'Allegro. L'orchestra annuncia il primo tema in una fanfara esultante. Una frase di transizione, anch'essa dai toni trionfali, si collega al secondo tema con le sue slanciate e svettanti terzine.

È l'annuncio della vittoria dell'intelletto e della ragione contro le forze oscure del destino, la celebrazione finale dell'uomo che combatte contro le avversità. L'Epilogo completa in una grandiosa frase di congedo la parte di Esposizione.

Nello Sviluppo è elaborato soprattutto il secondo tema, mentre un nuovo motivo presentato dai tromboni viene presto enfatizzato dai violini, sino a giungere ad un vibrante climax. Qui l'orchestra tutta pare palpitare, rapita e inebriata - nel registro sovracuto - come cullata dai suoi stessi suoni. E un'atmosfera particolarissima, vivida e sognante, un'immagine di un Beethoven solare assai vicina a quelle del finale della Nona Sinfonia.

D'improvviso la dinamica si riduce, dando vita ad una sezione di collegamento basata sulla reminiscenza del secondo tema del precedente movimento. Ma è solo un momento di passaggio, che lascia presto il posto all'incalzante Ripresa e all'Epilogo. Quest'ultimo è molto più esteso rispetto a quello dell'Esposizione e comprende anche il ritorno del secondo tema. Infine si aggiunge una complessa elaborazione del tema della transizione, questa volta imitato a varie altezze e via via più esuberante e fremente sino alla vorticosa stretta conclusiva (Presto).

Marino Mora

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Ben quattro anni impiegò il Maestro a dare la veste definitiva a questa Sinfonia, attraverso rifacimenti e innumerevoli ritorni. Ecco il destino che batte alla porta»: una tradizione degna di fede vuole che Beethoven si sia cosi espresso riferendosi asll'attacco della Sinfonia formato di quattro note lapidarie e scultoree. Ed è un destino contro cui Beethoven lotta, che Beethoven vince e ricaccia nella tenebra della superstizione in nome della chiarezza della ragione umana.

Nel primo tempo della Quinta, "Allegro con brio," si scatena cosi un violento turbine, dove c'è da osservare che il solo protagonista rimane praticamente l'inciso iniziale, dal momento che il secondo tema cantabile fa solo poche fugaci apparizioni: e l'arte di Beethoven raggiunge altezze vertiginose nel trarre da un elemento di poche note una serie meravigliosa di variazioni e di contrasti che comunicano con l'ascoltatore con immediatezza e vigore inarrivabili.

L'"Andante con moto" (in la bemolle maggiore) si mantiene in un'atmosfera pacata, in un movimento placido e costante, dove due temi cantabili - peraltro strettamente connessi nella struttura - si alternano in una pagina di eleganza mozartiana, colorandosi di varianti delicate e seducenti.

Lo "Scherzo" presenta un fosco tema ascendente dei bassi, ben presto seguito dal ritorno del tema "del destino," che da luogo a un episodio di grande drammaticità; subentra indi - in do maggiore - un tema quasi di danza che si spegne più avanti sul ritorno del tema dello "Scherzo," questa volta caratterizzato da un cupo ribattere dei colpi del destino affidati ai timpani.

Ma nel finale - "Allegro" - ogni dubbio è fugato: sfolgora nella tonalità di do maggiore la vittoria certa dell'intelletto e della ragione, che supera con slancio il ritorno del motivo centrale della Sinfonia, dandogli ormai un valore affermativo.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La nascita della Quinta Sinfonia, dedicata al principe Lobkowitz e al conte Rasumowsky, si colloca tra il 1804 il 1808, anche se l'anno della sua stesura definitiva è il 1807. La prima esecuzione pubblica ebbe luogo il 22 dicembre del 1808 al teatro An der Wien in un memorabile concerto tutto beethoveniano diretto dall'autore, comprendente fra l'altro la Sesta Sinfonia, il Quarto Concerto per pianoforte, la Fantasia con coro op. 80. Fin dalle prime esecuzioni l'opera suscitò l'entusiasmo della critica più incline alla nuova sensibilità romantica, come testimoniò E.Th.A. Hoffmann che ne intuì «l'unitarietà e la logica interiore» oltre il cliché del Beethoven "sfrenato" sostenuto dalla critica erudita. La Quinta, forse la più eseguita e la più universalmente conosciuta delle nove sinfonie, è considerata il paradigma del sinfonismo beethoveniano nel senso che nessuna altra opera presenta le caratteristiche, quasi le idiosincrasie del linguaggio di Beethoven con altrettanta chiarezza e concisione.

Nel primo movimento (Allegro con brio) la forma sonata ha il suo teorema: nessuna pagina aveva mai organizzato il principio del contrasto, del "patetico" schilleriano con una tale integrazione fra scansione ritmica e invenzione tematica: tutto muove da una idea di quattro note («Ecco il destino che batte alla porta» come avrebbe detto Beethoven al povero Schindler) che invadono ritmicamente tutto lo spazio disponibile cancellando ogni distinzione fra disegno e ornamento. L'Andante con moto, senza rigidità strofica, è impostato come un tema con variazioni, interrotte per tre volte da improvvise fanfare degli ottoni. Lo scherzo (Beethoven non usa più questo termine, ma solo Allegro) amplia la sua tradizionale funzione di pezzo di alleggerimento con il colore sinistro, in pianissimo, dei contrabbassi: questi strumenti (al cui virtuosismo solistico Beethoven si era interessato in quel tempo tramite l'italiano Dragonetti) aprono il trio intermedio, in stile fugato nel modo più volte adottato nella Sinfonia Eroica. Per la prima volta (in una sinfonia) Beethoven collega direttamente i due ultimi movimenti: il ritmo dello scherzo (una reminiscenza del quale tornerà nel finale) si dissolve in pianissimo e in un lungo episodio di transizione (solo il timpano esprime il movimento ritmico, mentre gli archi tengono la stessa nota per 15 battute) si comprime l'energia che investe il finale (Allegro), grandiosa costruzione su concetti semplici come l'inno e la marcia. La sonorità dei tromboni (mai usati prima da Beethoven in una sinfonia), la conclusione della pagina da Sempre più Allegro a Presto, l'insistenza sulla cadenza finale danno un carattere di apoteosi riassuntiva dell'intera sinfonia.

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

II 22 dicembre 1808 il Theater an der Wien ospitava un concerto di musiche di Beethoven che allineava quattro novità assolute: la Sesta Sinfonìa, la Fantasia per pianoforte, coro e orchestra op. 80, il Quarto Concerto per pianoforte e la Quinta Sinfonia; lavoro, quest'ultimo, che, fra tutti quelli proposti, aveva impegnato l'autore per il periodo più lungo di gestazione. I primi abbozzi risalivano al 1804, e la stesura era stata più volte interrotta, fra l'altro, quando i primi due tempi erano già abbozzati, per la creazione della Quarta Sinfonia; il lavoro si era concentrato soprattutto nel 1807. Questo sforzo creativo doveva tradursi in una delle partiture più innovative di Beethoven, sotto i differenti profili della complessità e varietà di scrittura, della coerenza interna e delle ambizioni concettuali. Fattori, questi, che vennero immediatamente colti da un recensore d'eccezione, E. Th. A. Hoffmann, il quale tracciò una descrizione altamente ammirativa, ma anche acutamente analitica sulla "Allgemeine Musikalische Zeitung", la rivista musicale più importante dell'epoca.

Le ambizioni concettuali appartengono, del resto, a tutto il Beethoven sinfonico. Occorre tenere sempre ben presenti le parole del musicologo Paul Bekker, che, nel 1918 individuava l'elemento di rottura del sinfonismo di Beethoven non nella invenzione di un nuovo modello sinfonico, ma di un nuovo pubblico, non più contingente ma universale:

"L'immagine ideale di un uditorio per il quale Beethoven scrisse, e da cui attinse la forza e l'impeto delle sue idee, fu un'ulteriore elaborazione del grande movimento democratico che dalla Rivoluzione francese condusse alle guerre di liberazione tedesche. Elaborazione come si presentò allo spirito di Beethoven. Possiamo percepirla ogni volta di nuovo quando viviamo in noi stessi la potenza catartica e solenne di una Sinfonia di Beethoven, poiché in tali momenti noi stessi diventiamo il pubblico per il quale Beethoven ha composto, la comunità cui egli parla".

Ma c'è dell'altro. Attraverso i decenni e i secoli la Quinta si è imposta nella coscienza collettiva come la più paradigmatica fra le Sinfonie di Beethoven, ovvero come quella che, fra le nove partiture, riassume ed esemplifica meglio i tratti della personalità dell'autore. Convinzione, questa, che è certamente legata a una immagine idealistica e tendenziosa del Beethoven titanico, sublime e grandioso (l'elemento del gioco, dello scherzo, è altrettanto presente nel sinfonismo del compositore) ma che trova precisi riscontri all'interno della partitura. Nella quale conviene osservare subito il principale e più impressionante fattore di novità, ovvero il fatto che i quattro movimenti che si succedono non si limitano ad essere fra loro coerenti rispetto a una idea di base (come era stato per la Sinfonia "Eroica"), ma realizzano un vero e proprio percorso interno, che traduce in suoni un progetto ideale ed emotivo: quello della progressiva transizione da una situazione di tensione e di conflitto a un'affermazione conclusiva in cui i conflitti vengono trionfalmente superati. Che questo percorso interno si configuri come la proiezione in musica dell'etica kantiana, è stato autorevolmente e convincentemente sostenuto; che rifletta inoltre vicende autobiografiche è probabile. Magistrale è comunque la realizzazione strettamente musicale.

Il primo tempo è forse la più perfetta applicazione della valenza tragica della tonalità di do minore, e della dialettica beethoveniana, basata sul contrasto di due idee, una veemente e una implorante; ma questa perfezione è dovuta innanzitutto alla configurazione icastica del tema - i celebri "tre più uno" colpi iniziali, esposti all'unisono - poi a una tecnica di elaborazione che fa percepire ogni dettaglio come logicamente consequenziale, necessario e imprescindibile; la seconda idea è solo un diversivo, nel fitto reticolato dell'elaborazione, che viene tuttavia interrotta da improvvisi silenzi e singole voci strumentali, dalla valenza angosciante ed interrogativa.

In questo contesto l'Andante con moto, in la bemolle maggiore, non ha la semplice funzione di stemperare la tensione, ma piuttosto di mantenerla sempre sottesa; per questo il tema dei violoncelli che costituisce la tranquilla idea portante del movimento, cede più volte il passo ad una improvvisa accensione degli ottoni, che preannuncia l'esito di tanti conflitti.

Con lo Scherzo si torna non solo alla tonalità minore iniziale, ma anche al medesimo inciso tematico, solo variato ritmicamente; è questo il movimento chiave per donare coerenza alla Sinfonia. Da una parte, infatti, il "motto" iniziale acquista, nella riproposizione, una valenza fatalistica (ma non bisogna dimenticare lo studio sul timbro, come il sibilo dei contrabbassi all'inizio, o il Trio contrastante, con entrate fugate); dall'altra parte il movimento sembra spegnersi nel nulla, con il "motto" sussurrato dai timpani, e sfocia invece in un episodio di transizione, tanto breve quanto decisivo, che congiunge direttamente i due ultimi tempi, attraverso un calibratissimo ed entusiasmante crescendo. Si approda dunque, col Finale, alla risoluzione di tutti i conflitti esposti, con una trionfale fanfara che è in realtà la conversione ottimistica dell'idea iniziale; non a caso, nella mirabile costruzione in forma sonata di questo finale, il secondo tema non è più, come nel primo tempo, in opposizione al primo, ma piuttosto complementare ad esso. L'unico momento di interruzione di questo entusiasmo consiste nella riapparizione di un frammento dello Scherzo, come ricordo delle ombre e delle sofferenze da cui sono venute le conquiste finali. Ma per sottolineare ancora la sapienza costruttiva di questo movimento, converrà riferirsi alla riesposizione, che ripropone il crescendo della transizione ma in forma abbreviata, per evitare la debolezza di una replica testuale, e ricordare l'energia propulsiva dei tantissimi accordi iterati delle ultime battute, sui quali grava il peso liberatorio non solo del movimento ma di tutta l'arcata evolutiva del capolavoro sinfonico.

Arrigo Quattrocchi

Spigolature d'archivio

La Quinta Sinfonia ovvero il regno infinito degli spiriti di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann
E T. A. Hoffmann fu scrittore, regista, direttore d'orchestra, magistrato e critico musicale con lo pseudonimo di Johannes Kreisler. Fra le sue numerose recensioni, la più celebre è sicuramente quella dedicata alla Quinta Sinfonia in do minore, pubblicata all'epoca sulla "Allgemeine Musikalische Zei-tung".

[La Quinta Sinfonia] sale in un climax sempre crescente trasportando irresistibilmente l'uditorio nel regno infinito degli spiriti. Nulla può essere più semplice della frase principale del primo Allegro, consistente di due sole battute, che dapprima nell'unisono non dà all'uditore nemmeno un tono determinato. Il carattere della nostalgia paurosa e irrequieta che porta in se questa frase è ancor meglio chiarita dal melodioso tema che l'accompagna. Il petto, oppresso e rinchiuso nel presentimento di una mostruosa minaccia di rovina, sembra cercar potentemente aria in suoni taglienti; ma subito gli passa splendente davanti una figura amica che rischiara l'oscura notte percorsa da brividi (il grazioso tema in sol maggiore, che per la prima volta viene accennato dal corno in mi bemolle maggiore). È semplicissimo, ancora una volta lo ripetiamo, questo tema che il maestro ha messo a base dell'intera composizione, ma meravigliosamente gli si dispongono accanto tutte le frasi laterali e intermedie, in una proporzione ritmica, in modo ch'esse servono solo a sviluppare più e più il carattere dell'Allegro ch'era stato solo accennato dal tema principale. Tutte le frasi sono brevi, quasi tutte di solo due o tre battute e per di più distribuite in un continuo alternarsi degli strumenti a fiato e a corda; si crederebbe quasi che da simili elementi potesse nascere solo qualcosa di smembrato e di incomprensibile, ma invece è proprio questa disposizione dell'assieme e la continua, conseguente ripetizione delle frasi e dei singoli accordi che portano il sentimento di una nostalgia indicibile sino al grado più alto. [...]

Non risuona forse una vaga voce spirituale che versa nel nostro petto speranza e conforto dal grazioso tema dell'Andante con moto in la maggiore? Ma anche in questo penetra lo spirito terribile che ha posseduto e intimorito il nostro animo durante l'Allegro e ogni momento ci minaccia dalle nubi tempestose in cui esso è scomparso e dinanzi ai suoi fulmini fuggono rapide le care figure che ci avevano circondato.

Che debbo dire del Minuetto? Udite le particolari modulazioni, le cadenze dell'accordo maggiore dominante che viene poi ripreso dal basso del tema successivo in minore e che è il tema stesso il quale continuamente si estende di alcune battute. Non vi afferra allora nuovamente quella nostalgia irrequieta e indicibile, quel presentimento del meraviglioso regno spirituale nel quale il maestro domina?

Ma come un'accecante luce solare irraggia improvvisamente il meraviglioso tema del tempo finale nel giubilo ridondante di tutta l'orchestra. Che meravigliosi lacci contrappuntistici si riannodano da questo punto all'intera composizione! Certo che tutto può passare rimbombando sopra noi come una geniale rapsodia; ma l'anima di ogni uditore intelligente viene certo preso da un sentimento che corrisponde appunto a quella nostalgia indicibile e profetica; e sino all'accordo finale e nei primi momenti successivi non potrà uscire dal meraviglioso regno spirituale in cui la circondano gioia e dolore, personificati da note musicali.

La disposizione interna delle singole frasi, la loro esecuzione e la strumentazione, la maniera com'esse sono ordinate, tutto tende ad un unico punto; ma specialmente l'intima parentela fra i singoli temi genera quell'unità che è sola capace di mantenere l'uditore sempre nello stesso stato d'animo. Spesso questa parentela si manifesta chiaramente all'uditore, quand'egli l'ode nel legame di due frasi, oppure la scopre nella comune base tonica di due frasi diverse; ma una parentela ancora più intima, che non ha bisogno di manifestarsi in simili modi parla spesso dallo spirito allo spirito ed è appunto questa che domina fra i vari temi dei due Allegri e del Minuetto, e manifesta meravigliosamente la genialità di pensiero del maestro.

E.T.A. Hoffmann. Kreisleriana, Dolori musicali del direttore d'orchestra Giovanni Kreisler. Traduzione di Rosina Pisaneschi. Rizzoli, Milano 1984.


(1) Testo tratto dal libretto del CD AM 074-2 allegato alla rivista Amadeus
(2) Testo tratto dalla Guida all'ascolto della musica sinfonica di Giacomo Manzoni, Feltrinelli Editore Milano, 1976
(3) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 5 novembre 2005

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Ultimo aggiornamento 9 marzo 2016