Sonata per pianoforte n. 6 in fa maggiore, op. 10 n. 2


Musica: Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)
  1. Allegro
  2. Allegretto (fa minore)
  3. Presto
Organico: pianoforte
Composizione: 1795
Edizione: Eder, Vienna 1798
Dedica: Contessa Von Browne
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ancora più succinta la Sonata opera 10 n. 2; lo spartito si distingue per la mancanza di contrasti essenziali, sostituiti da una coerente eleganza, che sfrutta tratti stilistici antiquati, talvolta con umorismo; anche la scrittura pianistica è scarna e limpida, quasi cembalistica. Quest'ultima caratteristica è evidente già nell'Allegro iniziale, improntato a una grazia rococò, in entrambi gli elementi tematici, e ai gustosi scherzi della coda, con i salti di registro della mano destra; lo sviluppo ha la funzione di diversivo, basandosi non sul materiale tematico ma su brevi cellule ritmiche e sul contrasto fra legato e staccato. Il movimento più interessante è però l'Allegretto, una via di mezzo fra un tempo lento e uno Scherzo; il movimento ha carattere riflessivo, e si fonda sul contrasto fra una melodia sinuosa sviluppata polifonicamente e la melodia accordale della sezione centrale. Il Finale, Presto, torna all'umorismo del primo tempo, e cerca di conciliare la forma sonata con un fugato di impronta cembalistica, con un tema martellato e un andamento brillante e scorrevole; è il momento più singolare di quel recupero del passato di cui si diceva.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Virtuoso dell'aristocrazia viennese, Beethoven dedicò al pianoforte gran parte degli anni 1796-98. Al 1797 risalgono le tre sonate op. 10. Pubblicate l'anno successivo, esse furono le prime opere di Beethoven recensite con lode sulla «Allgemeine musikalische Zeitung», fatta salva la riserva per la loro eccessiva originalità. Un estro dell'improvvisazione scorre nel primo «Allegro» della Sonata in fa maggiore. Beethoven rinuncia al contrasto dialettico ed alterna due temi romanticamente cantabili. Il posto dell'adagio è occupato da un «Allegretto» in fa minore. La visione di danza di questo Scherzo con trio anticipa il periodo centrale della produzione beethoveniana, e l'unisono della figurazione ascendente dell'apertura rammenta il terzo tempo della V Sinfonia. Il «Presto» conclusivo, con la sua figurazione a note ribattute e l'accenno fugato, applica un luogo caro al sonatismo settecentesco, qui travolto dal piglio burbero del ribelle.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Vivacità, brio, fantasia. Originalità, ironia e spirito del gioco. Sono questi alcuni elementi che emergono con naturalezza dalla Sonata n. 6 op. 10 n. 2 in fa maggiore di Ludwig van Beethoven. Agli ultimissimi anni di fine Settecento risalgono proprio le tre sonate dell'op. 10, pubblicate da Eder a Vienna nel 1798. Esse furono tra le prime opere di Beethoven recensite con significativi consensi sulla prestigiosa Allgemeine musikalische Zeitung. Vi troviamo un Beethoven ricco di forza e di energia, già pienamente impegnato nella costruzione del proprio meraviglioso pianismo. Alle spalle ancora il magistero e lo spirito bonario e ironico di "papà Haydn", mentre troviamo espresso in questi lavori anche e soprattutto uno stile lineare e frizzante, spesso arricchito da una serie di trovate e di boutade che rendono la partitura bella, lineare, imprevedibile. Così, specificamente, in questa Sonata in fa maggiore n. 6.

Nel primo tempo, Allegro, disegnato nella classica forma-sonata, dopo il primo tema ritmico dal piglio tipicamente beethoveniano e un essenziale ponte modulante, troviamo un bel secondo tema dal passo profondo, ampio, disteso. Poi subentra una sezione eminentemente conclusiva tutta fatta di echeggiamenti, ripetizioni, cadenze, eleganti codette. Lo sviluppo procede da queste trovate per elaborare nuovi spunti e idee; così come la ripresa che, sorprendentemente, inizia in una tonalità non prevista dal ciclo della forma-sonata, ovvero un nobilissimo re maggiore. Tutto ciò crea il giusto mix di imprevisti che contribuisce alla costruzione di una forma in stile tanto più improvvisativo quanto efficace. Il secondo movimento, l'Allegretto in fa minore, funziona un po' da Scherzo con Trio, con un primo tema di danza sinuoso dal fare un po' interrogante e dal tono misterioso. La parte centrale in re bemolle, profonda e accordale, riflette, se possibile, ancor più una visione malinconica e una tinteggiatura armonica carica di colori che pare quasi richiamare il sonor di un improvviso schubertiano, prima che torni il tema principale dell'Allegretto. Pochi passi e giunge il Presto finale, davvero un gustoso gemischt stilistico voluto e realizzato: da una parte il gusto della battuta e dell'ironia tipicamente haydiano, insieme però a una struttura apparentemente "severa", scritta e governata da un meraviglioso contrappunto alla J.S. Bach, ma con la forza e l'esuberanza di un giovane Beethoven. Le note ribattute del tema e la struttura stilistica fugata danno davvero una configurazione unica a questo bellissimo incipit, ma tutto il tempo rappresenta una scrittura brillante e scorrevole d'impronta cembalistica che restituisce ulteriore verve e brillantezza alla pagina beethoveniana.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 22 Novembre 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 31 maggio 1972
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 356 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 29 luglio 2023