Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 35a, KV 243


Musica: Ferruccio Busoni (1866 - 1924)
  1. Allegro moderato
  2. Quasi andante
  3. Allegro impetuoso
Organico: violino solista, 3 flauti (3 anche ottavino), 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, grancassa, piatti, archi
Composizione: 1896 - marzo 1897
Prima esecuzione: Berlino, Singakademie, 8 ottobre 1897
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1899
Dedica: Henri Petri
Guida all'ascolto (nota 1)

Il Concerto in re per violino e orchestra fu composto da un Busoni trentenne, fra il 1896-97 nelle pause di una intensa attività concertistica per tutta Europa (nascono accanto al Concerto la Lustspielouvertüre e la Seconda Sonata per violino e pianoforte); il lavoro è dedicato a Henri Petri, a quel tempo primo Konzertmeister nela cappella ducale di Dresda e primo violino di un celebre quartetto. Petri era stato allevo di Joachim (e di Vieuxtemps); e da Joachim si risale agevolmente a quel Concerto per violino di Brahms (di cui era stato mentore) che è opera guida del Concerto busoniano, specie nel primo movimento quando il suo ricordo pare affiorare in superfice nel costante lavoro di allusioni e ripensamento.

Il primo e il secondo movimento formano un unico insieme, ed è la prima, vistosa novità formale introdotta in un piano compositivo che vuol essere fieramente tradizionale. Il tema d'apertura (Allegro moderato) è una frase nobile, un po' solenne, dei legni in armonia a quattro parti, seguita da un'appendice, quasi eco melodica, in cui tonalità minore e maggiore si ombreggiano a vicenda: insomma un tema ampio e disteso, fatto di cellule che verranno poi singolarmente sfruttate fin nel terzo movimento. Il solista entra con una di quelle «cadenze prima dell'esposizione» care a Liszt, su un lungo pedale di dominante che fa da pronao (come nel Concerto di Brahms) alla ripetizione del tema d'apertura, questa volta assunto in prima persona dal violino.

Un nuovo tema è introdotto dai legni, in cavalieresco ritmo puntato, cui il violino risponde con patetici appelli o con rapide figure ornamentali. Fin qui tutto si è svolto secondo le regole classiche del gioco sonatistico; ma ora, mentre ci aspetteremmo uno sviluppo, magari pensando poi di rinfrancarci con una ripresa, con una mossa che anticipa future caratteristiche formali, Busoni introduce un nuovo episodio, Gemessen, mit Humor, che inizia un processo di alleggerimento, di ironia, con lievitazione di trilli e di picchiettati che fa dimenticare la seriosa apertura della pagina; solo una risposta dell'orchestra, in stile di Festouverture, ridà gravita al discorso e fa capire che il primo movimento si è concluso.

Senza interruzione ci si trova nel Quasi andante che, nel suo complesso, si organizza come contrasto di due poli, uno di bruckneriana pensosità, con un tema dei bassi su un lungo tremolo, l'altro di canto spiegato e diretto, sostenuto principalmente dal solista. Su un romantico, weberiano amalgama di archi e corni, il violino sembra giocare per l'ultima volta la grande carta del tema cantabile, dell'espressione senza intermediari; più oltre si muoverà invece su note doppie, in uno stile di Ballata o di leggenda, trovando fedele scorta nel canto del clarinetto. Tutta la pagina trova la sua ragione nelle bellissime battute finali (Più lento): qui si conciliano i due poli su cui essa si sostiene, quando al canto del violino, fluttuante nelle sfere del più alto lirismo, si accorda, nei legni e nel timbro arcaico dei tromboni, la voce germanica del corale, in un momento di intensità emotiva che forse non ha l'eguale in tutto il Concerto.

Il terzo movimento (Allegro impetuoso) si riveste di caratteri zigani (con molti echi lisztiani, del Mephisto-Walzer ad esempio) e vede il solista in posizione di guida, in un perpetuum mobile incalzante e volubile che prelude alla dinamica della Sposa sorteggiata; ad un certo punto le trombe attirano teatralmente l'attenzione, mettono ordine, e ha inizio su un nuovo ritmo (Alla marcia, pomposo umoristico) una sorta di divertito cortège; ma da questa disciplina guizza ancora via il solista che condurrà alla conclusione in un concitamento crescente (Più stretto - Quasi presto - Più presto).

Giorgio Pestelli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 23 febbraio 1975

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Ultimo aggiornamento 21 settembre 2013