Serenata per archi in mi maggiore, op. 22 (B. 52)


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Moderato
  2. Menuetto: Allegro con moto - Trio
  3. Scherzo: Vivace
  4. Larghetto
  5. Finale: Allegro vivace
Organico: orchestra d'archi
Composizione: Praga, 3 Maggio - 14 Maggio 1875
Prima esecuzione: Praga, Konvikt Sal dell'Umelecka Beseda, 10 Dicembre 1876

Vedi al n. B.504 la versione per pianoforte a quattro mani
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Una costante dell'esistenza di Dvoràk fu l'attenzione da lui dedicata alla musica da camera, non solamente sotto il profilo inventivo ma anche nella prospettiva nazionalistica ed ideologica. A differenza però di Smetana, che non tralasciava occasione per proclamarsi "avversario intemerato" delle consuetudini sociali dell'impero asburgico, Dvoràk soleva considerare il proprio ruolo nella comunità civile dell'epoca in una dimensione del tutto autonoma, a sé stante, conferendo il maggior risalto ad una specifica concezione dello stile, fìnanco del linguaggio. Nel senso cioè di privilegiare una graduale emancipazione degli schemi formali della tradizione classica, che allora nei paesi dell'Europa centrale coincidevano con il retaggio estetico e lessicale tedesco, oltre a coltivare l'ambizione di dar la precedenza a stilemi e nessi ritmici riferibili al mondo slavo e al suo folclore.

Soltanto nella produzione giovanile fu avvertito senza mezzi termini da Dvoràk l'influsso del classicismo viennese, perché ben presto egli sentì il crescente fascino del melos popolare boemo, spiccatamente nell'effusione melodica delle canzoni paesane e nella loro peculiare scansione ritmica, seppur in una misura sovente stilizzata. E quei caratteri che agevolmente contraddistinguono partiture orchestrali come le Danze slave, alcune Ouvertures, certe Sinfonie, i Poemi Sinfonici, gran parte delle pagine corali, vocali e strumentali ecc., per non parlare di numerosi episodi rinvenibili all'interno dell'opera teatrale, risultano altrettanto percepibili nella produzione da camera - in cui si annoverano, in ordine crescente delle parti nell'organico strumentale, due Sonate per violino e pianoforte, quattro Trii per pianoforte e archi, due Trii per archi, due Quartetti per pianoforte e archi oltre alle Bagatelle, dieci Quartetti per archi oltre a Cipressi, due Quintetti per pianoforte e archi, tre Quintetti per archi, un Sestetto per archi. Complessivamente ventisette composizioni, regolarmente pubblicate, a cui si aggiungono alcune versioni alternative o varianti di movimenti isolati.

Secondo il più scrupoloso biografo di Dvoràk, Otakar Sourek, alla musica da camera propriamente detta, sono chiaramente assimilabili le due Serenate, in mi maggiore per archi e in re minore per fiati, rispettivamente op. 22 e op. 44, "per varie ragioni, non soltanto d'ordine tecnico: il musicista era consapevole della tradizione d'origine settecentesca della 'serenata', d'una composizione cioè pluripartita nell'articolazione, formalmente contraddistinta da elementi derivati dalla Suite e dalla Sonata, di carattere più leggero e libero della Sinfonia. Ed era egualmente al corrente del fatto che la fioritura di questo genere creativo era dipesa dalla disponibilità di strumentisti boemi, sia tra gli archi sia tra i fiati, arruolatisi nelle orchestre arcivescovili o principesche mitteleuropee" (1956).

La Serenata in mi maggiore per orchestra d'archi ebbe una genesi molto veloce, con stesura tracciata tra il 3 e il 14 maggio 1875, all'avvio d'un anno assai felice per Dvoràk: da poco gli era nato il primo figlio, Otakar; nel febbraio, in aggiunta alle limitate entrate finanziarie d'insegnante privato e di organista a Sant'Adalberto, l'arrivo di 400 gulden, come premio per alcune musiche vincitrici d'un concorso di composizione a Praga, sembrò cambiargli la vita. All'inizio dell'autunno presero l'avvio i preparafivi per la première della Serenata a Vienna sotto la direzione di Hans Richter, ma quel progetto non ebbe un esito positivo. E questa composizione fu conosciuta la prima volta a Praga il 10 dicembre 1876 sotto la guida di Adolf Ciech. La prima viennese si realizzò soltanto il 24 febbraio 1884 con Hermann Kretschmann sul podio. Nel frattempo l'editore praghese Stary aveva dato alle stampe la versione d'autore per due pianoforti nel 1877 mentre la stesura originaria per archi vide la luce nel 1879 a Berlino da Bote & Bock.

Tra i caratteri più peculiari di questa Serenata si coglie l'intento di Dvoràk di tornare agli ideali classici che l'avevano tanto coinvolto nella prima giovinezza, inducendolo quindi a prender le distanze da certi influssi wagneriani che avevano informato le opere Alfred (1870) e Re e carbonaio (1871), causandone probabilmente l'infausto destino. Già la revisione di questo secondo titolo teatrale, realizzata nell'autunno 1874, aveva praticamente preannunciato la sua svolta creativa, orientandola a stilemi popolareggianti, ove cominciano a salire in cattedra una calda naturalezza della vena melodica, una mutevole vaghezza della tavolozza armonica e, specialmente, l'armoniosa eleganza della scrittura nonché il prevalere dell'ispirazione lirica d'ascendenza folclorica. Tra i primi a manifestare a Dvoràk la loro simpatia furono Brahms e l'influente critico Hanslick, ai quali piacquero, sin dal primo ascolto, la sobria misura del disegno architettonico e la spontanea esuberanza dell'inventiva di questo lavoro.

La Serenata per orchestra d'archi si articola in cinque movimenti ed inizia con il Moderato in mi maggiore in 4/4, ove la prima idea è subito proposta dai violini primi, venendo poi ripetuta nello stretto gioco strumentale intessuto tra i secondi violini e i violoncelli, per riapparire di lì a breve nello slancio dei violini primi, con un'effusione cantabile d'indubbia matrice popolareggiante boema. La situazione espressiva accentua la sua originalità dopo dodici battute nel ritorno in marcata evidenza del soggetto tematico principale ai secondi violini, anche perché è contrappuntata più all'acuto dalla trama strumentale dei violini primi. L'intero andamento musicale è basato sull'intreccio a imitazioni, quasi in forma canonica. Subentra una seconda sezione in sol maggiore, nettamente caratterizzata da valori puntati e segnata da un pronunciato distacco rispetto all'iniziale impronta lirica: e proprio in questo contesto si inserisce l'intensa linea espressiva dei violoncelli. Si ascolta quindi la ripresa con il ritorno dell'idea principale in un tessuto orchestrale più arricchito ove la scrittura di maggiore intensità effusiva ritrova la tonalità in mi maggiore della parte introduttiva.

Il secondo movimento, Tempo di Valse in do diesis minore in 3/4, è improntato ad un incedere assai vaporoso nella sezione iniziale, per farsi ben presto più fluido nella parte successiva, nello scorrere delle semicrome con alcune battute puntate di tensione contenuta. All'andamento tranquillo della ripresa segue il Trio ove interessante è lo spostamento enarmonico in re bemolle maggiore: una pagina di notevole estensione, di carattere meno danzante del valzer. E all'interno del Trio, in specie nella seconda parte, si avverte una tensione abbastanza drammatica che infine conduce al Tempo di Valse in modo simmetrico, per concludersi nella tonalità maggiore.

Per contrasto il terzo movimento, Scherzo - Vivace in fa maggiore, è improntato a un ritmo di danza binario. Sostanzialmente unitario è il carattere di questo tempo, pur comprendendo al suo interno tre incisi tematici differenziati nella tonalità senza però instaurare degli atteggiamenti espressivi contrapposti. La sezione finale è molto elaborata nell'incalzante suo incedere strumentale, per concludersi nel Tempo tranquillo, quasi svaporando sul materiale motivico del terzo inciso. E solamente nelle ultime sei battute si ascolta il ricupero dell'idea iniziale (stringendo).

Il quarto movimento, Larghetto in la maggiore in 2/4, costituisce il tempo più lirico dell'intera Serenata. S'impone perentoriamente all'attenzione l'estrema raffinatezza della scrittura orchestrale, permeata d'un afflato poetico trascinante e coinvolgente nella sensibilità con la quale Dvoràk fa risaltare tutte le risorse di duttile e fervida cantabilità degli archi. La struttura di questo tempo adotta lo schema A - B - A ove la sezione centrale (Un poco più mosso) risulta articolata senza eccessivi spessori di passaggio.

Il quinto, e ultimo, movimento, Finale - Allegro vivace in mi maggiore pone in risalto l'accentuata sua scansione ritmica. Nella parte centrale si individua agevolmente una doppia articolazione tematica. Ed appare molto interessante la riproposta della prima idea del movimento introduttivo di questa composizione, quasi Dvoràk avesse inteso, nel dar evidenza al ritorno ciclico, evocare un peculiare atteggiamento psicologico che riaffiora nella sua memoria. Alle misure finali del Moderato subentra, nel Presto, l'incalzante coda che porta la Serenata in mi maggiore alla rapida conclusione.

Luigi Bellinguardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Antonìn Dvorak proveniva da una famiglia povera: il padre era macellaio e, come succedeva spesso da quelle parti, oltre alla macelleria gestiva anche una locanda. Antonìn lo aiutava in entrambe le attività e nel frattempo frequentava la scuola del villaggio studiandovi anche violino e canto. Lì ogni bambino riceveva lezioni di musica: lo prescriveva un'antica legge boema. "Credo sia questo il segreto del talento musicale della gente del mio paese, - dichiarava Dvorak intervistato da Paul Pray, nel 1885 a Londra - ogni slavo ama profondamente la musica, anche se lavora tutto il giorno nei campi o fra i buoi. È lo spirito della musica a renderlo felice".

E la storia delle sue opere, delle sue Sinfonie, delle pagine cameristiche, ci parla proprio di questo "spirito", di quel radicato sentimento "popolare" mai tradito, sempre rigenerato dall'interno: una traccia che si ridisegna nell'atto stesso del comporre, fuori dall'interesse scientifico dell'etnomusicologo o dalla pura evocazione folkloristica: l'eco di questa "musica della terra" è per Dvorak un moto intimo e indelebile.

La Serenata per archi op. 22 fu scritta nel 1875 in soli 12 giorni. Quello fu un anno speciale per il compositore ceco: il governo austriaco infatti, grazie ad una commissione di cui erano membri fra gli altri il critico Eduard Hanslick e Johanncs Brahms gli concesse una borsa di studio che costituì per Dvorak il vero e proprio trampolino di lancio verso i più importanti circoli musicali europei. Nessuno dei membri della commissione lo conosceva personalmente, ma, come raccontò lo stesso Hanslick più tardi, essi rimasero colpiti da quel talento straordinario. E in seguito fu proprio Brahms a raccomandare Dvorak al prestigioso editore Simrock, presso il quale uscirono tutte le sue opere principali.

In quello stesso anno videro la luce altri lavori importanti quali la Quinta Sinfonia, il primo Quartetto con pianoforte op. 23 e il primo Trio con pianoforte op. 21.

La prima esecuzione della Serenata era stata prevista per la fine del 1875 a Vienna sotto la direzione del celebre direttore Hans Richter (con il quale Dvorak intesse una preziosa amicizia) ma alcuni inconvenienti costrinsero a rimandarla all'anno seguente a Praga sotto la direzione di un'altra celebre bacchetta, Adolf Cech.

Ripartita in cinque movimenti in forma di suite, la Serenata op. 22 è un brano di intensa carica melodica e di grande fascino.

Il primo movimento Moderato si apre con il bellissimo tema (ormai divenuto assai celebre) palleggiato tra violini e violoncelli; la sensazione è quella di visione "aerea" di un paesaggio incantevole all'interno del quale per un attimo (la sezione ritmica centrale) l'occhio cerca di mettere a fuoco i piccoli momenti della vita quotidiana; ma è solo un istante e il volo prosegue.

Il Tempo di Valse che segue è senza dubbio frutto delle prime esperienze del compositore quando si guadagnava da vivere come membro dell'orchestra da ballo "Komzàk"; un valzer lieve e vaporoso che all'interno del movimento si evolve continuamente fino al nostalgico tema del Trio centrale che preannuncia la linea melodica del successivo Larghetto.

Ma prima ecco un brillantissimo Scherzo dove le serrate imitazioni contrappuntistiche tra le diverse sezioni strumentali sembrano ricordare il gioioso "vociare" di una festa paesana; in un angolo due giovani innamorati cercano di isolarsi - accompagnati dalla dolcezza e seduzione del secondo e terzo tema, mentre in altra parte è ancora in atto una animata discussione (ripresa).

La straordinaria invenzione melodica del Larghetto (il cui tema peraltro, come abbiamo detto, viene richiamato anche negli altri movimenti) catalizza su questo quarto tempo la quasi completa attenzione dell'intera Serenata; frasi struggenti, intriganti cellule sonore, risonanze che si diradano, insomma un concentrato di emozioni a "viva pelle".

Ma ecco che il "felice spirito" di terra boema si riappropria del Finale e si annuncia con incalzanti elementi a squillo e veloci staccati discendenti a canone tra i violini e il resto dell'orchestra.

Laura Pietrantoni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 10 Dicembre 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 Maggio 2006


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Ultimo aggiornamento 9 marzo 2016