Sonata in la maggiore per violino e basso continuo, op. 1 n. 3, HWV 361


Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
  1. Larghetto o Andante (la maggiore)
  2. Allegro (la maggiore)
  3. Adagio (fa diesis minore)
  4. Allegro (la maggiore)
Organico: violino, basso continuo
Composizione: 1712 circa
Edizione: J. Roger, Amsterdam, 1731 circa
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il nome di Buxtehude compare non solo nella biografia di Bach ma anche in quella di Händel, il quale si recò a Lubecca nel 1703, poco più che diciottenne, insieme all'amico Johann Mattheson di pochi anni più grande: entrambi erano interessati al posto presso la Marienkirche che Buxtehude si apprestava a lasciare, tuttavia malgrado le non trascurabili condizioni economiche, i due furono scoraggiati sia dalla prospettiva di dover sposare la figlia dell'organista (non più giovanissima) e soprattutto dall'allontanamento dal mondo dell'opera che quell'incarico avrebbe comportato. Particolare rilevante soprattutto per il futuro del Sassone, come Händel fu ribattezzato in Italia negli anni (tra il 1706 e il 1710) in cui vi soggiornò, benvoluto da nobili e cardinali e incontrando musicisti della statura di Arcangelo Corelli e Alessandro Scarlatti, che per lui furono dei maestri insostituibili. Non il nostro Paese, tuttavia, bensì l'Inghilterra sarebbe stata la terra d'adozione - dal 1710 fino all'anno della morte, il 1759 - di Händel. Sebbene capolavori come il Messiah e la Water Music siano rimasti indissolubilmente legati al suo nome fin dal momento in cui furono eseguiti per la prima volta, Händel fu fondamentalmente un compositore di opere, oltre che di oratori. Precisazione che, vista l'ampiezza e l'importanza della sua produzione strumentale, diventa tanto più doverosa. Il posto di violino di ripieno nell'orchestra del teatro di Amburgo ricoperto negli anni giovanili lo aveva precocemente messo a contatto col mondo del teatro, di cui apprese rapidamente i meccanismi, mentre fu in Italia che egli si impadronì non solo della nostra lingua - in italiano sono i libretti delle sue opere - ma soprattutto assorbì tutte le positive influenze che poteva esercitare su di lui la civiltà musicale e artistica di città come Roma, Napoli e Venezia.

Così egli arrivò a padroneggiare uno stile concertante estremamente evoluto - che non escludeva le suggestioni provenienti dalla Francia - del quale si servì sia nella musica vocale che in quella strumentale. A Londra, dove si era trasferito pressoché definitivamente già nell'autunno del 1712, Händel parteciperà direttamente alla nascita della nuova Accademia, che grazie alla presenza del re Giorgio I tra i sottoscrittori, potè fregiarsi della qualifica di "reale". Con la direzione musicale affidata ad Händel l'attività della "Royal Academy of Music" si aprì con la stagione inaugurale del 1720 e il secondo degli spettacoli in cartellone fu il suo Radamisto. Successivamente gli anni tra il 1723 e il 1725 videro la nascita di tre titoli fondamentali quali Giulio Cesare, Tamerlano e Rodelinda e agli stessi anni risale il gruppo di Sonate per strumento solista e basso continuo più tardi pubblicate come op. 1. La raccolta include quindici Sonate alternativamente destinate a flauto traverso, flauto diritto, oboe e violino, che generalmente seguono lo schema in quattro movimenti (lento-veloce-lento-veloce).

Non fa eccezione la Terza Sonata (HWV 361), che nei tempi veloci risulta ancora vicina al modello delle Sonate dell'opera V di Corelli: il primo dei due Allegri è un fugato con passaggi contrappuntistici a corde doppie che richiedono una notevole tecnica violinistica, mentre l'ultimo tempo ha le tipiche fattezze di una Giga italiana. L'Andante che apre la Sonata e soprattutto il brevissimo ma intenso Adagio che si interpone ai due movimenti veloci, sembrano viceversa andare oltre l'esempio di Corelli, lasciando intravedere la sublime arte della melodia handeliana.

Giorgio Cerasoli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il più puro linguaggio händeliano ci viene incontro nella pagina d'apertura della Sonata in la maggiore op. 1 n. 3 HWV 361: un Andante intonato a un melos di ampio respiro, che promana l'impressione di una quieta, serena grandezza, in grado di armonizzare anche gesti rilevati, come i salti di undicesima ascendente, in una superiore misura espressiva. Prevedibilmente l'Allegro apporta una sferzata di energia che prende la forma di un alacre contrappunto doppio, aperto dall'esposizione simultanea di un soggetto per valori larghi al violino e di un controsoggetto per crome al basso, elementi che circoleranno in entrambe le voci con una libertà e una freschezza non immemore dell'op. V di Corelli e disponibile anche a ospitare libere sezioni dedicate all'esibizione virtuosistica del solista. Un minuscolo Adagio di appena cinque misure, dal melos riccamente fiorito, fa da ponte verso l'ultimo, esteso movimento, un Allegro bipartito in forma di giga, che deve probabilmente alla severità dello stile da chiesa la moderazione dello slancio che lo percorre.

Raffaele Mellace


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 13 aprile 2013
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 200 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 19 maggio 2017