Introdotta da Walsh come brano sostitutivo nell'edizione 1732, la Sonata in fa maggiore op. 1 n. 12 HWV 370 presenta seri problemi di attribuzione. Trasmessa soltanto dalla fonte a stampa e difficilmente riconducibile all'idioma händeliano, la composizione apre con un vastissimo Adagio dominato da una sorta di horror vacui che moltiplica le figurazioni per semicrome, innescate quando le prime quattro misure avranno proposto per due volte l'elemento fondamentale dell'arpeggio, ripreso simmetricamente al termine del brano. La seconda posizione è occupata da un energico Allegro bipartito dal ritmo di gavotta, costruito su due sezioni asimmetriche: assai breve la prima, riservata all'esposizione del tema, molto più lunga la seconda, completamente consegnata a un meccanismo implacabile di quartine di semicrome, ma non impermeabile al tema, che vi ritorna anche in modo minore. A un lirismo introverso è intonato il successivo Largo, anch'esso bipartito, aperto da una scala ascendente di re minore che si tuffa sulla sensibile con un ardito salto di settima diminuita. Complessivamente il violino procede tuttavia per grado congiunto, esprimendo soprattutto nella seconda parte del brano la propria vocazione cantabile. Chiude la sonata una giga corelliana (Allegro), tanto spensierata nel tono quanto complessa nella contrapposizione tra ritmi contrastanti al violino e al basso.
Raffaele Mellace