Sonata per pianoforte n. 2 in fa maggiore, K1 280 (K6 189e)


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)
  1. Allegro assai (fa maggiore)
  2. Adagio (fa minore)
  3. Presto (fa maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Salisburgo, autunno, 1774
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799
Guida all'ascolto (nota 1)

La celebre precocità creativa di Mozart non riguarda le Sonate per pianoforte la cui prima serie (K. 279-284) venne composta a Salisburgo 'solo' intorno al 1774.

Quello della Sonata per tastiera era un genere delicato da trattare, in parte perché aveva già recenti modelli con cui confrontarsi, prima di tutto Haydn e C. Ph. Emanuel Bach, in parte per il motivo contrario: gli strumenti a tastiera stavano subendo all'epoca una veloce evoluzione e la tradizione esecutiva del vecchio clavicembalo, in virtù delle sue caratteristiche di strumento a pizzico, non poteva offrire un repertorio all'interno del quale scegliere soluzioni molto adatte alle caratteristiche del fortepiano. Ciò non significa che il linguaggio del clavicembalo venisse dimenticato di colpo; anzi, molte sue eredità vengono interpretate alla luce della caratteristica più evidente del nuovo strumento, quella di poter evidenziare alcune linee e lasciarne altre in ombra.

Mediare fra tradizione e nuovi modelli è così per la Sonata in fa maggiore K. 280 inevitabile e opportuno. Vi si registra l'influenza della scrittura per tastiera di Haydn, in particolare quella della Sonata in fa maggiore n. 23, nonché la presenza della tradizione esecutiva precedente, da quella 'galante' in stile italiano (in primis nell'elaborazione di J. Christian Bach) a quella ancor più antica legata alla Suite con le sue danze idealizzate. Il sincretismo degli stili è infatti una delle componenti più affascinanti della creatività di Mozart.

Così il motto iniziale della Sonata K. 280 funziona da incipit solenne che può ricordare l'esordio di un compito Minuetto. Ma la situazione evolve subito in una melodia cromatica discendente la cui frammentazione porta poi a una serie di quartine. Questo processo dura pochi secondi e ci appare del tutto 'naturale': ma è il sapiente aumento dell'agogica ritmica (motto solenne, linea melodica, veloci quartine con gioco cadenzale) a costruire un percorso musicale che mira a tenere desta la nostra attenzione. Mozart non trascura mai l'ascoltatore, nel senso che la sua musica possiede ritmi vitali che risultano dal perfetto dominio del 'movimento' della tessitura sonora. In una dialettica di sezioni differenziate ma unificate da logiche di espansione e contrazione, l'omogeneo flusso di terzine seguente funziona così da zona ritmica costante che compensa l'agogica crescente dell'inizio. Questa nuova sezione acquista rifrangenze tipiche del futuro diteggiare pianistico e porta a una zona successiva, quella del secondo tema, annunciato da un motto di tre note ascendenti al basso. Essa si apre alternando il motto di tre note in questione a flussi di quartine, giocando quindi su un contrasto di figure (lenta ascesa di note dal basso in alternanza a grappoli di suoni discendenti all'acuto) che sarà tipico anche dello 'sviluppo' (la parte 'centrale' di un tempo in forma-sonata, termine che designa la struttura ricorrente di questi brani classici) in cui si combinano o si approfondiscono elementi precedenti.

Questi pochi cenni sono sufficienti a chiarire come sia sottile la strategia musicale che guida le scelte del nostro compositore. Scelte che guardano anche al futuro: la chiarezza strutturale che caratterizza il primo tempo, l'equilibrio sapiente delle sezioni contrastanti che sublima un linguaggio formale generalmente accettato, si arricchisce già di sfumature cromatiche, anche se ancora temperate dal solare stile dell'epoca.

Più ombrosi appaiono invece alcuni momenti del brano centrale, Adagio, l'unico in modo minore di tutte le Sonate mozartiane, costruito sopra un ritmo trasfigurato di Siciliana, danza dall'andamento cantabile e cullante di cui Mozart accentua la natura malinconica collocandone la tipologia ritmica nell'indicazione dinamica, appunto, di 'Adagio'. Magnifici i chiaroscuri tra modo maggiore e modo minore che egli riesce a creare nel brano, quasi comparissero a tratti dei raggi di luce sul tessuto sonoro.

Si torna alla solarità nel Presto finale che porta in campo una miscela di partenze, fermate, sezioni brillanti, soluzioni estrose, tra le quali spicca una formula ritmica dal carattere 'ornitologico' (sembra il verso di un volatile, lo si sente alla sola mano destra pochi secondi dopo l'inizio del brano), il cui lieve tratto ironico dà al pezzo un carattere molto particolare.

Simone Ciolfi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 12 giugno 2008


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Ultimo aggiornamento 6 ottobre 2012