Suite Scita, op. 20

dal balletto incompiuto "Ala e Lolli"

Musica: Sergej Prokofiev (1891 - 1953)
  1. L'adorazione di Veless e di Ala - Allegro feroce, un poco più lento
  2. Il dio nemico e la danza dei mostri pagani - Allegro sostenuto
  3. La notte
  4. La partenza di Lolli e corteo del sole - Tempestoso, un poco sostenuto, allegro, andante sostenuto
Organico: ottavino, 3 flauti (3 anche flauto contralto), 3 oboi, corno inglese, 3 clarinetti (3 anche clarinetto piccolo), clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 8 corni, 4 trombe, 4 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, xilofono, 2 piatti, tam-tam, triangolo, grancassa, tamburo, tamburello, 2 arpe, celesta, pianoforte, archi
Composizione: 1914 - 1915
Prima esecuzione: San Pietroburgo, Teatro Maryinsky, 29 gennaio 1916
Edizione: Gutheil, Parigi, 1923
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Appena ventitreenne, Prokofief, che già aveva al suo attivo la composizione di vari pezzi pianistici, tra cui il ciclo dei Sarcasmes op. 17, i primi due concerti per pianoforte e orchestra, il primo concerto per violino e orchestra e l'opera inedita di un atto «Maddalena», vinse il primo premio Rubinstein per pianisti e la madre per ricompensa gli offrì un viaggio a Londra. Qui, oltre ad assistere a «L'uccello di fuoco», «Petruska» e «Dafni e Cloè» allestiti dalla famosa compagnia dei Balletti russi, ebbe da Diaghilev l'incarico di comporre la musica di un balletto di argomento leggendario su sceneggiatura del poeta Serghei Gorodecki, intitolato «Ala e Lolli» (il «Sacre du printemps» era stato scritto l'anno precedente) e che riguardava il seguente soggetto: gli Sciti adorano Véles, il diosole, e Ala, divinità dei boschi. Durante la notte una divinità infernale di nome Cuiborg tenta di rapire Ala con l'aiuto degli spiriti del male; il gigante Lolli corre in aiuto di Ala, ma quando sta per soccombere arriva Véles che fulmina con la sua luce e uccide il mostro maligno. Prokofief si mise febbrilmente al lavoro e l'anno successivo andò a Roma per un concerto all'Augusteo (suonò il «Secondo concerto per orchestra» diretto da Molinari) e sottopose al giudizio dell'autorevole mago dei «Ballets russes» la nuova partitura. Diaghilev non ne rimase convinto e invitò il compositore a scrivere la musica di un altro balletto su una favola popolare e tipicamente russa: nacque così «Chout» (Il buffone), che venne terminato soltanto nel 1920.

Prokofief, però, pensò bene di trasformare la musica del mancato balletto «Ala e Lolli» in una suite sinfonica che divenne la «Suite scita op. 20» in quattro tempi, la cui prima esecuzione del gennaio del 1916 a Pietroburgo sotto la direzione dello stesso autore provocò violenti contrasti e riprovazioni, specialmente da parte dell'ambiente musicale più tradizionale: si sa che Glasunov uscì tutto irritato dalla sala prima della fine del concerto. Soltanto il giovane critico Igor Gliebov si schierò dalla parte del musicista ed ebbe il coraggio di scrivere che «dalla morte di Beethoven nessuno aveva cantato con tanta convinzione la gioia e la pienezza della vita. Prokofief è un artista della nostra generazione e non vi è errore più grave che considerarlo un avvenirista alla moda di oggi». Anche a Mosca qualche mese dopo l'accoglienza del pubblico nei confronti della «Suite scita», non fu molto diversa, dato che il mondo accademico non vedeva di buon occhio l'ascesa di Prokofief, considerato l'«enfant terrible» della musica d'avanguardia, definita spesso impropriamente futurista. La situazione cominciò man mano a modificarsi e da diversi anni questa partitura selvaggiamente impetuosa e dai ritmi di una violenza senza precedenti, espressione di una prepotente e originale personalità di artista nel periodo più smagliante del suo «Sturm und Drang», viene considerata un pezzo classico del nostro tempo e fa parte del repertorio sinfonico di tutte le maggiori Istituzioni concertistiche europee e mondiali.

I quattro tempi non rispondono al carattere tradizionale del sinfonismo classico-romantico, ma piuttosto debbono essere considerati come quattro affreschi sonori in cui i vari motivi non si sviluppano, ma si ripetono, si allineano in successione e si scontrano secondo una logica elementare dove l'orchestra passa alternativamente dalle ombre più cupe alla luce più accecante. Il primo tempo (L'adorazione di Véles e di Ala) è un Allegro feroce in cui, dopo una tumultuosa introduzione, gli ottoni e i legni accompagnati dagli archi e dagli strumenti a percussione cantano una specie di inno, la cui linea melodica si ripete due volte ed è seguita da un ritmo pesante che un po' alla volta si esaurisce in un sordo brontolio dei bassi. Dopo un tema dolcemente melodico e d'intonazione esotica i corni in sordina e le viole riprendono la frase dell'inno iniziale che si conclude, come in precedenza, con un ritmo marcato e nel grave pedale dei bassi.

Il secondo tempo (Il dio nemico e la danza degli spiriti neri) è un Allegro sostenuto e la musica vi si scatena in modo orgiastico e fragoroso, come un ritmo di danza infernale.

Il terzo tempo (La notte) è un Andantino che sembra descrivere gli incanti e le visioni lunari di una notte fiabesca. Non mancano annotazioni di colore sinistro e malefico, ma alla fine tutto ritorna al clima psicologico iniziale fatto di assorta contemplazione della natura.

L'ultimo tempo (Partenza gloriosa di Lolli e corteo del sole) si articola in un agitato movimento introduttivo (Tempestoso) e in una marcia barbarica (Un poco sostenuto. Allegro) che raggiunge una irruenza fonica straordinaria e su cui si innesta un pedale dì trentanove battute su un «si» acuto della tromba, immagine del bagliore fisso del sole. Una pagina di effetto spettacolare che è una vera e propriaapoteosi del ritmo, inteso come elemento primordiale e dirompente della musica.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Come premio per aver superato bene gli esami finali al Conservatorio, Sergei Prokofief potè andare a Londra: era il giugno del 1914 e la stagione artistica al culmine. L'autore stesso narra nella sua «Autobiografia»: «Trionfava la compagnia russa d'opera e di balletto di Diaghilev, cantava Shaliapin; Diaghilev in frac e cilindro, monoloco e guanti bianchi faceva spettacolo a sé. Presentato a lui, suonai il mio «Secondo Concerto»: Diaghilev concepì la strana idea di creare un balletto-pantomima da eseguirsi sulla scena mentre io avrei suonato il concerto con l'orchestra. Ma la difficoltà di adattare la musica a qualsiasi tipo di soggetto liquidò la cosa. Da qualche tempo accarezzavo l'idea di scrivere un'opera sul romanzo «Il giocatore» di Dostoievski e la tratteggiai a Diaghilev ma questi obbiettò che l'opera era una forma in agonia mentre il balletto stava fiorendo e concluse che quindi dovevo scriverne uno. Poche altre conversazioni bastarono a decidere che al mio ritorno a Mosca avrei dovuto prendere contatto con qualche scrittore, per esempio Gorodetsky (poeta della corrente decadente), per creare insieme un balletto su qualche fiaba o tema preistorico russo... Gorodetsky trovò poi alcuni buoni personaggi sciti ma non un intreccio e solo dopo molte riunioni in comune mettemmo finalmente insieme una specie di storia che chiamammo «Ala e Lolly». Scrissi la musica appena ebbi il testo; ardevo di provarmi a qualcosa di grande... Avevo già sentito il «Sacre du printemps» di Stravinsky ma non l'avevo capito. È possibile che allora stessi cercando d'esprimere analoghe immagini a mio modo. Nurok e Nuvel vennero e ascoltarono senza fare alcun commento; più tardi Nuvel scrisse a Diaghilev che Prokofief stava covando una robaccia artificiosa su un soggetto analogo. Diaghilev mi sollecitò a recarmi in Italia, dove era in tournée, promettendo di procurarmi un concerto a Roma e di pagarmi il soggiorno... Ascoltò gli abbozzi incompleti del balletto e non approvò né la musica né l'intreccio che giudicò «trito»: «dovete scrivermene uno nuovo» ingiunse». Questo nuovo balletto sarebbe stato «Chout». In effetti la trama predisposta da Gorodetsky, per permettere a Prokofief «di creare qualcosa di grande, di monumentale, in affinità con la natura», appariva alquanto macchinosa per un balletto: l'antico popolo degli Sciti adora le sue divinità, Veles, il dio del sole, e Ala, lo spirito dei boschi. Durante la notte, un cattivo mago straniero, Ciujbog, rapisce Ala con l'aiuto dei mostri sotterranei. Il gigante Lolly corre in aiuto di Ala, ma sta per soccombere nell'impari lotta, quando Veles interviene e sconfigge lo straniero, il cui potere magico non resiste alla luce del sole.

Come balletto, «Ala e Lolly» conobbe la prima rappresentazione soltanto nel 1927 al Teatro Colon di Buenos Ayres per merito di Bronislava Nijinska.

Fin dal 1915 però Prokofief aveva notato che, salvo pochi passaggi, la musica di «Ala e Lolly» poteva essere recuperata e provvide a trarne una suite sinfonica in quattro movimenti per grande orchestra: la prima parte si riferisce alla «Adorazione di Veles e di Ala»; la seconda parte comprende una Introduzione («Entrata di Ciujbog») e una «Danza pagana»; la terza, intitolata «La notte», evoca la scena spettrale del rapimento di Ala; l'ultima parte si suddivide in due episodi: la «Lotta di Lolly» con i mostri e col mago ed il «Corteo del sole». La prima esecuzione assoluta della «Suite Scita» ebbe luogo a Pietroburgo, ai concerti di Siloti, il 29 gennaio 1916 sotto la direzione dell'autore, in un'atmosfera di scandalo. Tra le varie opinioni sollevate dal linguaggio moderno di questa musica, Prokofief ne riporta tre nella sua «Autobiografia»: «L'immaginazione creativa di Prokofief non ha limiti ed è impossibile prevedere dove lo porterà — aveva scritto «Muzika»; «Una catarsi di risate paniche per la transitorietà dei canoni — farneticò Karatyghin; «Stupendo! — giudicò Igor Gliebov, ma un errore di stampa fece sì che la parola "stupendo" suonasse come "stupido"». Annota ancora Prokofief: «Entrando una volta nella mia stanza in quel tempo, mentre stavo lavorando, mia madre esclamò disperata "Ti rendi conto realmente di quello che stai pestando sul pianoforte di casa?"».

La «Suite Scita» ha segnato il raggiungimento della maturità di Prokofief e resta uno dei suoi capolavori più significativi, in cui l'impeto barbarico s'alterna a squarci di delicato lirismo e a passi di un maestoso afflato epico. È una partitura dai colori fiammanti, piena di dovizie timbriche, selvaggiamente impetuosa, sorretta da un solido scheletro ritmico, animata da una irruenza elementare dalla quale traspare l'originario carattere di musica destinata alla scena. Prevalgono nella «Suite Scita» inarrestabili slanci di sonorità, con le strepitose accentuazioni di una nutrita batteria; gli ottoni vi sono impegnati in gran numero (4 trombe, 8 corni, 4 tromboni e basso tuba). È comprensibile la sorpresa destata da questa musica al primo ascolto. Vista in prospettiva, la «Suite Scita» rende perfettamente il carattere sintomatico di un certo stile del suo autore, esprimendosi in una estroversa brillantezza di immagini e di ritmi, percorsa da una elementare esplosione di energie, in un clima vitalistico e motorio, ricco di una successione travolgente di coloritissime strutture musicali. Dominano nella partitura gli stridenti e dissonanti rapporti armonici e l'impiego di martellanti interventi pereussivi, punteggiati dal luccicare fantasmagorico di improvvisi, brevi agglomerati sonori. Impulsi ritmici si alternano ad armonie roventi, a vaghe zone di ombra, in un frenetico rincorrersi di immagini multicolori, lanciate a briglia sciolta in una sorta di gioco fiabesco, animato da una vena inventiva inesauribile. A tratti si ritrovano però, quasi inattese, oasi di liricità affettiva, in risonanze sospese, filtrate dalla estrema sensibilità dell'autore: un altro aspetto sorprendente di Prokofief, da aggiungersi alla nota maestrìa dello strumentatore sopraffino.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 11 gennaio 1970
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro comunale, 27 ottobre 1973


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Ultimo aggiornamento 22 gennaio 2020