L'aurore (L'aurora)

Cantata in mi bemolle maggiore, per tenore, coro e orchestra

Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
Testo: autore ignoto
Organico: tenore, coro misto, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, tuba, timpani, percussioni, arpa, archi
Composizione: Parigi, maggio 1905
Edizione: inedito

Brano scritto per il concorso del Prix de Rome
Guida all'ascolto (nota 1)

Caro Signore,
Leggo sui giornali che non esiste alcun problema Ravel. Credo sia mio dovere dirvi (amichevolmente e tra noi due) che questo problema esiste, e non può essere eluso. [...]
È un caso un poco analogo a quello di Berlioz. Ravel si presenta all'esame del prix de Rome non come un allievo, ma come un compositore che ha già superato le sue prove: ammiro i compositori che hanno osato giudicarlo. Chi li giudicherà a loro volta?

Con questa lettera del 26 maggio 1905 lo scrittore e musicologo Romain Rolland comunicava a Paul Leon, vicesegretario dell'Accademia delle Belle Arti, l'irritazione di una vasta parte dell'elite culturale francese per l'ultima bocciatura subita da Maurice Ravel al concorso per il "prix de Rome", esclusione definitiva per sopraggiunti limiti di età. Dal maggio 1905 l'ambiente musicale parigino era dunque in gran subbuglio per via del cosiddetto "Affaire Ravel", con un susseguirsi di articoli su riviste musicali ma anche su grandi giornali.

Il premio dell'Accademia di Francia a Roma, esteso nel 1803 ai musicisti, offriva ai vincitori scelti da una giuria accademica una borsa per il soggiorno fino a tre anni a Villa Medici, al fine di ampliare le proprie conoscenze di studio, con il solo obbligo di inviare annualmente un'opera di una certa importanza a Parigi, i cosiddetti "envois de Rome". Il premio, la cui vicenda gioca un ruolo centrale nella storia della musica francese, è stato a più riprese oggetto di doglianze da parte dei compositori, criticato per scelte considerate miopi o retrograde. Molti compositori premiati hanno dovuto concorrere più volte prima di vincere, come Berlioz, che lo ottenne solo al quarto tentativo. Alcune figure di spicco della musica francese, come Saint-Saëns, Lalo, d'Indy, Chausson, Dukas e l'autodidatta Chabrier, non lo conseguirono mai. Il premio, che nel ventennio precedente al 1870 apriva ai vincitori anche le porte dei teatri parigini, al volgere del secolo cominciava ad apparire un'istituzione antiquata: le giurie erano composte da soli membri dell'Accademia, che giudicavano i candidati sulla base di una cantata, di regola su testi modesti di argomento mitologico o storico, dopo una prima selezione operata valutando una fuga e un breve brano sinfonico-vocale, ormai poco rispondenti ai nuovi sviluppi della musica strumentale e del sinfonismo francese. E poi i due anni a Roma, lontano dal cuore pulsante della vita culturale francese, sembravano un esilio. Lo stesso Debussy, premiato nel 1884, definiva nel 1903 il prix de Rome "un'istituzione stupida" e nel 1905, nel pieno della querelle, sul Mercure Musical si leggeva addirittura che il Prix de Rome era "estorto mediante gli intrighi e assegnato da imbecilli".

Maurice Ravel aveva affrontato il concorso per la prima volta nel 1900, a venticinque anni. Si fermò però alla prova preliminare e quell'anno la vittoria andò a Florent Schmitt. L'anno dopo Ravel giunse in finale ma la sua cantata Myrrha, sospesa fra intuizioni originali e l'ossequio all'accademismo gradito alla giuria, fu battuta dal lavoro di André Caplet, dall'orchestrazione più varia e rifinita. A Ravel fu comunque attribuito il "Deuxìème second Grand Prix" con il voto positivo di Massenet e i complimenti di Saint-Saëns. Intanto nel 1902 Ravel si era messo in luce con lavori del calibro della Pavane pour une infante defunte e Jeux d'eaux, ma ciò non aveva accresciuto la stima della giuria: al concorso alla sua cantata Alcyone fu preferito il pallido lavoro di Aimé Kunc.

Nel 1903 la cantata Alyssa, i cui insistiti tratti di accademismo parvero financo derisori ai giudici, non ottenne neppure una menzione e il premio fu conferito al bordolese Raoul Laparra, destando non pochi malumori.

Nel 1904 Ravel non partecipò al concorso, aveva altro per la testa: grazie al ciclo Schéhérazade diretto a maggio da Alfred Cortot e soprattutto con l'affermazione di Miroirs la sua carriera stava decisamente prendendo piede. Forse per puntiglio, per regalare una soddisfazione alla famiglia o al suo insegnante Fauré, nel 1905 Ravel affrontò il quinto tentativo ma fu appunto respinto alle eliminatorie. Da qui lo scandalo, che per ironia della sorte fornì all'escluso un'ottima pubblicità: le accuse caddero sul giurato Charles Lenepveu, visto che in finale c'erano solo suoi allievi, e sul direttore del conservatorio Théodore Dubois. Va rimarcato che le dimissioni di quest'ultimo, che peraltro detestava la musica di Ravel, non furono però effetto dell'"Affaire Ravel", perché deliberate mesi prima del concorso.

Dopo l'inciampo del 1905 si procedette a qualche aggiustamento minore; finalmente una donna, Lili Boulanger, riuscì a ottenere il prix nel 1913, ma solo nel secondo dopoguerra furono introdotti cambiamenti più profondi: troppo tardi, il vento del Sessantotto francese avrebbe spazzato via quel che restava della gloriosa istituzione, che nell'ultimo trentennio aveva segnalato un solo musicista di spicco, Henri Dutilleux.

L'Aurore, per tenore, coro e orchestra su mediocre testo anonimo, venne scritta nel 1905 ed è sicuramente il più complesso dei cinque brani presentati da Ravel alle prove del prix. Aperto da un conciso recitativo del fagotto e del contrabasso, il pezzo si distingue subito per i cambi di tonalità, il gioco timbrico e la luminosa paletta coloristica, in cui lo stile di Ravel appare più riconoscibile. La frase introduttiva viene ripresa nell'inciso a cappella del tenore, per passare poi all'unisono delle voci maschili, prima che il brano si avvii alla robusta conclusione, nella radiosa tonalità d'impianto di mi bemolle maggiore. Non sfuggono però le sette battute di ottave parallele fra basso e soprano, palese infrazione alle regole tradizionali, forse un deliberato gesto irridente verso la giuria, quasi che Ravel non desiderasse più ottemperare a regole accademiche di cui non condivideva il senso.

Andrea Penna

Testo

L'Aurore L'Aurora
CHOEUR
La terre s'éveille.
L'aurore vermeille
Dore les coteaux
Une fraîche haleine
Embaume la plaine
De parfums nouveaux
Sur l'herbe irisée
On voit la rosée
Couler en saphirs
Mille ailes légères
Quittant les fougères
Volent aux zéphirs.
On voit la nature
Dans une hymne pure
Saluant les deux
CORO
La terra si desta
Arrossa l'aurora
Indora le colline
Un fresco soffio
Avvolge la piana
Di nuovi profumi
Sull'erba iridescente
La rugiada appare
In stille di zaffiri
Si levano dalle felci
Mille ali leggere
Volando nell'aria
Ecco che la natura
Saluta il cielo
Con un inno puro
SOLO (TÉNOR)
Salut, ô jour levant, à ton berceau superbe!
Salut, soleil fécond, à ton rayon naissant!
Depuis l'homme debout jusqu'à l'humble brin d'herbe,
Tout t'acclame ici-bas d'un coeur reconnaissant!
C'est la chanson pleine d'ivresse
Qu'à son nid roucoule l'oiseau
SOLO (TENORE)
Salve, giorno che sorgi, sulla tua superba culla!
Salve, sole fecondo, dai raggi nascenti!
Dal basso già si levano l'uomo e l'umile filo d'erba
Per acclamarti con cuore riconoscente
È il canto pieno d'ebbrezza
Che al suo nido rimanda l'uccello
CHOEUR
Pour le sillon
C'est la richesse
C'est la sève
Pour le roseau
Pour la forêt
C'est la lumière
Le parfum pour les près en fleur
Pour l'humanité tout entière
C'est la vie et le bonheur
Salut, ô jour levant, à ton berceau superbe
Salut soleil fécond à ton rayon naissant
Depuis l'homme debout jusqu'à l'humble brin d'herbe
Tout t'acclame ici-bas d'un coeur reconnaissant!
CORO
Per il solco
È la dovizia
È la linfa
Per il giunco
Per la foresta
È la luce
Il profumo per i prati in flore
Per l'umanità intera
È la félicita e la vita
Salve, giorno che sorgi, sulla tua superba culla!
Salve, sole fecondo, dai raggi nascenti!
Dal basso già si levano l'uomo e l'umile filo d'erba
Per acclamarti con cuore riconoscente
(Traduzione di Andrea Penna)

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 7 febbraio 2019


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Ultimo aggiornamento 27 febbraio 2019