Habanera


Musica: Maurice Ravel (1875 - 1937)
Organico: 2 pianoforti
Composizione: novembre 1895
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 marzo 1898
Edizione: Salabert & A.R.I.M.A., 1975

Utilizzata nella terza parte della Rhapsodie espagnole, vedi 1907 al n. 66 la vesrione per due pianofoti ed al n. 67 la versione per orchestra
Guida all'ascolto (nota 1)

Fra le ultime partiture sfogliate da RaveI figurano una «Rhapsodie Cambogienne», «Douze chants d'Anatolie», «Dances from the Malayan opera»: come conclusione, non certo casuale, di una carriera musicale fortemente segnata dall'interesse per il colore locale, per l'esotico. Curiosità raffinata, che aveva spinto RaveI ad assumere nel suo linguaggio le movenze del jazz negro-americano, o addirittura giavanesi (si ricordi il «Pantoum» del «Trio») o le inflessioni dei canti popolari greci od ebraici; o magari solo ad arricchirlo di suggestioni remote e favolose — penso alle «Chansons madécasses» e ad «Asie», da «Shéhérazade» — lungi da qualunque atteggiamento documentario, con il gusto della contraffazione del reale, che per l'intellettuale novecentesco è più autentica della verità oggettiva. Se quelle furono le ultime letture di RaveI, in perfetta analogia l'ultima sua pagina di musica scritta erano state le «Trois chansons de Don Quichotte à Dulcinèe»: estremo omaggio, questo, alla Spagna, sua seconda patria, con i suoi personaggi, i suoi canti, i suoi ritmi tante volte rievocate in memorabili composizioni, dall'«Alborada del Gracioso» all'«Heure espagnole», dal «Bolèro» al «Vocalize en forme d'Habanera».

Straordinaria era stata la suggestione esercitata dalla Spagna sulla fantasia degli uomini di cultura francese: fin dai primi decenni del Romanticismo, essa era stata la terra ideale dei sogni e delle fughe, popolata di figure emblematiche, animata da un tragico senso della vita, delle passioni — accostata magari, con qualche eccesso, alla nostra Italia. E se molti conoscono, almeno per titoli, i «Contes d'Espagne et d'Italie» di Alfred De Musset, non sarebbe però inutile sfogliare ogni tanto la raccolta «Espana» di Théophile Gauthier (1845) o leggere nei suoi «Emaux et camées» la 'preveggente' lirica dal titolo di «Carmen».

Vent'anni dopo, sarà infatti una «Carmen», quella di Bizet, primo documento di «naturalismo» nel teatro d'opera (eppure si tratta di una Spagna tutta d'invenzione), a segnare l'ingresso del colore iberico nella cultura musicale francese, tramite anche gli esempi dei Russi (Glinka con la sua «Notte a Madrid» e la «Jota aragonesa») e di Liszt («Rapsodia spagnola») che, forse — con gusto timbrico e delineazione ritmica — influiranno ancor più dell'eroina bizetiana sui maestri dell'Impressionismo.

Ravel scrisse l'«Habanera» per pianoforte a quattro mani nel 1895, sei anni prima di quell'incunabolo del pianismo impressionista-acquatico che sono i celebri «Jeux d'eau» del 1901. Ravel tenne a sottolineare questa data, 1895, quando trascrisse la pagina per orchestra, facendola divenire il terzo movimento della sua «Rapsodie espagnole», quasi a rivendicare una priorità rispetto ad altre composizioni di Debussy ispirate al colore iberico. Ed a ragione: con la «Habanera» siamo già di fronte a una pagina di magistrale fattura, pur nella sua concisione, di «stupefacente novità di scrittura armonica, di una miracolosa originalità di accenti», secondo il giudizio di Alberto Mantelli. Il ritmo della danza spagnola viene enunciato più volte senza che emerga su di esso il disegno melodico; quasi una riduzione dello 'spagnolismo' a pura ossatura ritmica, ipostasi del movimento. E quando compare il canto, è appena un cenno: non ha ancora quella tipica lunghezza delle melodie di certi adagi del Ravel maturo, ed ha insieme perduto quello spessore sensuale, quel calore che erano dell'«Habanera» intonata da Carmen. Ne risulta una Spagna asciutta, vigorosa, quasi dominata da uno strano senso di pudore; come se qualcosa dello spirito basco di Ravel fosse intervenuto ad attenuare inflessioni e colori di uno spagnolismo turistico.

Le vicende editoriali di questa «Habanera» sono — a dir poco — singolari, se non incomprensibili. Di quale compositore dei nostri tempi, della statura di Ravel, esistono ancora pagine inedite, come è appunto la versione per pianoforte a quattro mani? Neppure l'occasione del centenario della nascita (1975) ha indotto editori e discografici a completare l'opera pianistica di Ravel; e si pensi anche quale ghiotta novità potrebbe essere la conoscenza e l'esecuzione della trascrizione del «Carnaval» di Schumann o di tre pagine di Chopin, eseguita da un maestro dell' orchestrazione come Ravel.

Cesare Orselli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino;
Firenze, Teatro Comunale, 7 giugno 1978


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Ultimo aggiornamento 12 dicembre 2018