Stravinsky aveva pensato di scrivere una Messa sin dal 1926, quando si era avvicinato di nuovo alla Chiesa greco-ortodossa dalla quale era uscito prima ancora di terminare gli studi liceali. Ma questo progetto si realizzò soltanto nel 1948, dopo aver composto tra il 1926 e il 1934 i Tre cori sacri e nel 1930 la Symphonie de Psaumes, considerata uno dei suoi capolavori non solo nel campo della musica religiosa. Però la Messa, che è stata eseguita per la prima volta il 27 ottobre 1948 al teatro alla Scala di Milano sotto la direzione di Ernest Ansermet, si richiama ai modi della liturgia della Chiesa cattolica romana e la ragione l'ha spiegata lo stesso Stravinsky nel libro di ricordi del musicista, curato da Robert Craft. «Perché ho composto una Messa cattolico-romana? - afferma Stravinsky - Semplicemente perché volevo che la mia Messa fosse usata liturgicamente, il che era francamente impossibile nella Chiesa russa, dal momento che la tradizione ortodossa bandisce qualsiasi strumento musicale dai propri servizi religiosi, e dal momento che io posso sopportare il canto senza accompagnamento solo nella musica armonicamente più primitiva. La mia Messa è stata sinora usata piuttosto raramente nelle chiese cattoliche, ma ciò nonostante lo è stata.
La mia Messa - continua Stravinsky - fu sollecitata in parte dalla lettura di alcune messe di Mozart che avevo trovato in un negozio di musica usata di Los Angeles nel 1942 o nel 1943. Appena mi misi a suonare queste dolcezze peccaminose del periodo operistico rococò, seppi che avrei dovuto scrivere una messa, una vera messa. Tra parentesi, sentii per la prima volta la Messa di Guillaume de Machault un anno dopo che la mia era stata composta, per cui non fui influenzato nella mia Messa da alcuna musica "antica", né fui guidato da alcun esempio».
Lo stile della Messa è sobrio e asciutto, improntato ad un primitivismo di gusto volutamente medioevale, nel pieno rispetto dell'Ordinarium della messa cattolica. Le stesse dissonanze, tipiche delle opere del periodo neo-classico dell'autore, non determinano toni drammatici e neutralizzano qualsiasi tensione armonica, quasi a sottolineare maggiormente il carattere della composizione. Il discorso corale è rigorosamente sillabico e di colore ascetico: i solisti di canto, secondo le indicazioni della partitura stravinskiana sono esclusi e gli a solo sono affidati a singole voci che, solo a tratti, emergono dall'anonimato della massa corale. Il coro è sorretto da uno scarno complesso strumentale, formato da due oboi, corno inglese, due fagotti, due trombe e tre tromboni, che producono sonorità arcaiche.
Il Kyrie si articola in una diecina di episodi corali, cantati in modo piano e tranquillo e inframmezzati dall'accompagnamento degli strumenti. Nel Gloria due voci si distaccano dal coro per intonare dei melismi, ai quali pochi lievissimi spostamenti degli accenti metrici e qualche lieve inflessione delle curve melodiche servono ad imprimere un'atmosfera di giubilo. Il Credo costituisce la base architettonica della Messa: la ieratica sillabazione corale viene sostenuta dal grave incedere di misurati accordi che soltanto nella parte centrale acquistano un accento ritmico. Un Amen non accompagnato conclude questo brano centrale della composizione. Il Sanctus si apre con melismi fioriti di due tenori punteggiati da alleluiatici interventi del coro. Quindi quattro voci sole svolgono una fuga sulle parole «plaeni sunt coeli». Il Benedictus è inserito tra l'Hosanna e la sua ripresa finale che il coro intona in movimento più mosso. L'Agnus Dei poggia su tre episodi corali a cappella introdotti e poi separati da un ritornello strumentale. La Messa si conclude in un clima di decantata purificazione, massima indicazione espressiva dell'ultimo Stravinsky.
Nel 1942 o '43 a Los Angeles Strawinsky trovò in un negozio di libri usati alcune Messe di Mozart: Racconta lui stesso, spiritosamente compiaciuto: «Appena mi misi a suonare queste dolcezze peccaminose del periodo operistico rococò, seppi che avrei dovuto scrivere una Messa, una Messa vera però» (in I. Strawinsky e R. Craft, Colloqui con Strawinsky, trad. ital. Torino, Einaudi, 1977, p. 266). Noi non possiamo dire che cosa in realtà sia una 'Messa vera', certo è che questo originalissimo lavoro di Strawinsky non è né operistico né, Dio liberi!, peccaminoso. Ed è 'vero' forse nel senso che bene si adatta, per consistenza fonica e durata, ad accompagnare realmente il servizio cattolico-romano: l'impressione, poi, sarebbe perfetta se il rito, nel nobile latino della tradizione ecclesiastica, si svolgesse in una piccola chiesa romanica, intatta e rude. Austerità, infatti, e pietrosa solidità dei suoni e del canto sillabato del coro sono i caratteri espressivi primari della Messa. Nella partitura il titolo è in inglese, Mass, ma lo spirito di questa musica non potrebbe essere più arcaicamente latino, quasi catacombale. L'architettura si fonda sul 'Credo' centrale, la parte più estesa, e più scarna, a cui fanno da cornice, in prudente contrasto, il 'Kyrie' (si noti il breve respiro nella ripetizione ascendente del 'Christe eleison'), la delicatezza pastorale del 'Gloria', e, dopo, il 'Sanctus' (con un efficace disegno in ampliamento sonoro su 'Pieni sunt') e il breve, delicato 'Agnus Dei'.
Franco Serpa