Ipermestra, RV 722

Dramma musicale in tre atti


Testo del libretto


ATTO PRIMO

Scena prima

Tempio illuminato di notte per la solennità delle Nozze.

Danao, Linceo, Argia, e Nicandro.
Danao
Ecco pur giunto al fine,
Come al Ciel piacque, il tanto desiato,
Momento fortunato,
In cui, spenta l'atroce orrida face
De' domestici sdegni,
D'Argo, e d'Egitto ai Regni
Più gioconda, che mai, torna la Pace.
Tra le pompe solenni, e trionfali
Dei bramati sponsali,
Onde ai cari Nipoti
Le mie figlie si uniro, ecco esauditi
Al fine i comun voti
D'ambe le nostre Genti,
E adempiuti con essi i miei contenti.
Linceo
Signor, grazie alla tua
Generosa bontà, grazie ad Amore,
Che parlandoti al cuore
Ogni memoria estinse
Delle passate offese, e con più forte
Illustre nodo le nostr'alme avvinse.
Chi mai creduto avria,
Che da si fiera, e torbida procella
Una calma si bella
Sorger dovesse a noi, che le disperse
Brame, e quasi sommerse
Con bell'aura di speme, e di conforto
Liete portasse, e vincitrici in porto?
Danao
Linceo, più non si parli
D'odio e di sdegni, ove la data fede,
E de' giurati Numi
Il venerando aspetto,
Voglin che regni sol gioia, ed affetto.
Linceo
Ah! se dentro al mio seno
Volger potessi un solo sguardo almeno,
Vedresti . . .
Danao
A me palese
E' già l'antico, ed innocente ardore,
Onde Ipermestra il cuore
Dolcemente t'accese
Fin dagli anni più verdi; e sò, che spinto
Da vivace desio
Di coronar le belle tue speranze,
Non sò ben dir, se vincitore, o vinto,
Impaziente l'ora
Del tuo trionfo attendi,
E ogni ritardo accusi, ogni di mora.
Linceo
Per sì bella cagione
Giuste le smanie son, giusti i sospiri:
Ma soffra Amor, soffra l'amata sposa,
Che a' miei, che a' suoi desiri
Per nostro maggior vanto
Sacra legge d'onor preceda alquanto.
Soffra, che umile, e grato
Linceo si mostri, e prima
A nome ancor degli altri suoi Germani
Sulle regie tue mani
Teneri baci ossequioso imprima.
Nicandro
Oh d' alma generosa
Eroici sensi!
Argia
Oh fortunata sposa,
A cui toccato è in sorte
Un sì pregiato, e sì fedel Consorte,
Danao
Mi lega, e mi rapisce
La nobile virtù; fin qui donasti
Abbastanza all'onore,
E' tempo omai, che si contenti Amore.
Vanne, amato Linceo,
Ove il desio t'invita,
Ove la face sua scuote Imeneo,
E aperto il campo alle tue brame addita,
Linceo
Vaghe luci, luci belle,
A cui porta invidia il giorno,
Pur ritorno
A goder vostro chiaror.
De' bei raggi, o chiare stelle,
La vivace amabil luce
Or sia duce
Al mio fido amante cuor.

Scena seconda.

Danao, Argia, Nicandro.
Danao
Ma tu, Figlia (che tale,
Se nol sei per natura
Per amore lo sei, giacchè de' Numi
Alto ignoto disegno
A me fidò la cura
Di tua tenera etade, e del tuo Regno)
Non creder già, che tra i solenni applausi,
Onde intorno la Reggia
Risonando festeggia,
D'Argia non mi rammenti: E già vicino
Il tante volte a te promesso giorno,
In cui si veda unito
Il destin di Nicandro, al tuo destino.
Argia
Ben sai, Signor, chi sono,
E che nata dì Stenelo dal sangue,
Nacqui ancora a regnar d'Argo sul Trono.
Della regia tua fede,
E del paterno, onde ti vanti, affetto
Udii già i sensi, ora le prove aspetto.
Danao
Ed a tal fine appunto,
Omai cedendo alle private, offese,
Dai tumulti guerrieri
Io ritrassi i pensieri:
E se estinsi le fiamme
Ben giustamente nel mio seno accese,
E se il seren mi piace
Della fermata pace,
E sol perchè oggi io voglio
Argia veder degli Avi suoi nel soglio.
Nicandro il sà.
Nicandro
Confuso
Tra le grazie d'Argia, tra i doni tuoi
Mancan le voci al labbro, e qual mai stella
Si propizia girò gl'aspetti suoi,
Che s'agguagliasse a quella,
Che ora i benigni influssi a noi comparte
A così illustre segno,
Che ogni gran merto avanza,
Mai non giunse l'ardir di mia speranza.
Argia
Tutto sperar può un'alma,
A cui sola mercede
Del valoroso oprare è l'opra istessa,
Ed hà sempre compagni onore, e fede.
Nicandro
Fù premio assai maggiore
D'ogni grand'opra mia
Ubbidire al mio Re, servlre Argia.
Argia
Ma un tal premio non basta,
Ne ad Argia, ne al tuo Rè; già di mia mente
I sensi ti svelai;
Io sò, quanto a te debba,
Quanto a me dei, tu pur, Nicandro, il sai.
Nicandro
Sò, che solo ho nel seno
Un cuor fedele, e a non temere avvezzo.
Argia
Ed un tal cuore io solo voglio, e apprezzo.
Nicandro e Argia
Bella speme intorno vola
E consola
Del mio foco il dolce ardor.
Argia
Dice al cuore
Nicandro
All'alma dice,
Argia
Godrai lieto
Nicandro
Avrai felice
Nicandro e Argia
Il tuo bene, il tuo tesor.

Scena terza

Danao, e Nicandro.
Nicandro
Signor, se prestar fede ora volessì
All'aria del tuo volto
Fuor d'uso allegro, ed a i soavi detti,
Ch'io con stupore ascolto,
Direi, Danao cangiò sensi, ed affetti.
Ma troppo a me son noti
I giusti sdegni tuoi, troppo nel cuore
Sò, che regna il furore
Contro gli odiati perfidi Nipoti.
Danao
Mal s'appone, e mal crede,
O mio fedel Nicandro,
Chi giudica d'un cuor da ciò, che vede,
E dai sembianti esterni
Vuole indagar gli occulti moti interni.
Poco regnar saprei,
Se finger non sapessi,
E occultar, quando è d'uopo, i pensier miei.
Nicandro
Ma, se d'Egisto i figli
Minacciano al tuo Regno,
Ed alla vita tua, morte, e perigli,
Perchè d'amore in segno
Stringerli al seno, e poi
Di tremanti, e dubbiosi
Renderli a un tempo, e vincitori, e sposi?
Danao
Tempo è, che il mondo intenda,
Che maestade offesa,
Ed ingiuria real vuol stragi, e sangue,
E che in destra senile
Se langue il ferro, e trema,
Non vacilla, e non langue
Sovra canuta fronte aureo Diadema.
Già pronta ogni mia figlia a me promise
Vie più di sdegno, che d'amore accesa,
Troncare a mia difesa
L'odiato capo al credulo Consorte,
Mentre della sua sorte
Affatto ignaro in alto sonno ei giace.
Ecco l'amor promesso, ecco la Pace.
Nicandro
Dunque sperar poss'io,
Che da te si conceda
L'adorata Ipermestra all'amor mio?
Ben felice io sarei.
Danao
Non che sperar, ma crederlo tu dei.
Dell'ordite mie trame
L'unica meta è questa,
E poi da bramar più nulla mi resta.

Cada pur trafitto esangue,
Chi spietato, e vita, e sangue
Trar dal sen potrebbe a me.
A dispetto della sorte
Manterrò costante, e forte
Ciò, che un di valor mi die.

Scena quarta

Camera.

Ipermestra, e poi Linceo.
Ipermestra
E qual dolente stato
Fù mai simile al mìo?
Oh Padre, oh Sposo, oh Dio!
(siede.)
Vieni sposo infelice,
infelice Linceo, vieni a colei,
Che chiamavi tuo sol, ma sol, che porta
Ombra mortale, influssi acerbi, e rei.
E sarà ver, che con la mano istessa,
Ond'io giurai comune a te la sorte
Dar ti deggia la morte?
Linceo
Mia sposa.
Ipermestra
Ah dove vieni?
Linceo
Ove Imeneo
Tra casti amplessi tuoi, cara, mi guida
A goder nel tuo sen.
Ipermestra
Fuggi, o Linceo,
L'indegna sposa, e il Talamo funesto:
Fuggi . . . .
Linceo
Ipermestra, e qual'incontro è questo?
Cosi accogli il consorte?
Ipermestra
Ah cosi accolto
Ogni Germana mia lo sposo avesse;
Non piageresti estinti
Tutti i fratelli tuoi.
Linceo
Cieli! che ascolto?
Ipermestra
Si, Linceo, giace esangue
Per man della sua sposa in sù quest'ora
Ogni Germano tuo. Pria, che l'Aurora
Riporti in cielo il giorno,
Fuggi torna al tuo Campo.
Linceo
E qual furore
Sotto manto di fede
Delle Sorelle tue nacque nel cuore?
Ipermestra
A noi sue figlie diede
Danao legge si barbara, deh mira
(gli mostra uno stile.)
Del fiero Padre mio dono funesto:
Con questo, oh Dio, con questo
M'ordinò di recarti i primi amplessi.
Linceo
Ah scellerato! e così enormi eccessi
Lascia impunito il Cielo? e tanto amore
Dianzi ne dimostrò? d'onde tant'ira
Nel cuor di un Zio contro i Nipoti?
Ipermestra
Ascolta.
Morto è l'anno, e risorto una sol volta,
Dacché mio Padre in Delo
Consultando l'Oracolo del Sole,
Intese, che d'Egisto suo Germano
La numerosa prole
Involar gli doveva, e vita, e Regno.
Né molto andò, che d'improvviso sdegno
Ardendo tu, co' tuoi Germani Armati,
Veniste a' danni d'Argo
Sprovvisto di difese:
Per evitar le minacciate offese:
Danao pensò con simulata pace
Di Bellona smorzar l'orrida face;
E per coprir l'inganno,
Noi figlie sue con sagro nodo avvinse
Ai temuti Nipoti;
Ma con mentita fede, ahi, ci costrinse
Padre troppo inumano
In un'istessa notte
Vedove a rimaner di nostra mano.
Linceo
Oh! qual orror mi prende
A sì infausta novella!
Ipermestra
Al sangue mio rubella
Mi rende amore, e per salvar lo Sposo
Non curo, oh Dio! di porre in rischio il Padre;
Fuggi dunque, Idol mio, fra l'ombre ascoso
Poni in sicuro la tua vita.
Linceo
E fia,
S'è in periglio la tua, salva la mia?
Cara Ipermestra! . . . . miseri Fratelli! . . . .
Empio Zio! . . . . Reggia infame . . . . Offesi Dei,
A chi serbate i fulmini, e i flagelli?
Ipermestra
Non tardar più.
Linceo
Già de' Germani miei
Lo sparso sangue affretta
Quest'alma alla vendetta,
E à trarte dal periglio amor mi sprona.
Addio, mia Sposa, a cui dover la vita,
Credilo a questo cuore,
E' degli obblighi miei forse il minore.
Ipermestra
Addio Sposo; conserva
La memoria di me.
Linceo
Cara, poss'io,
Finchè vivo, obbliar, che a te degg'io
Il viver, che m'avanza?
Addio, mia vita.
Ipermestra
Addio, dolce speranza.
Linceo
Ipermestra
Ipermestra
Linceo
Linceo e Ipermestra
Che pena! Addio.
Linceo
Ah che da te lontano
Pace sopspiro invano,
Se tu sei la mìa pace,
E tutto il mio piacer.
Anzi, da te diviso
Viver ne men' poss'io,
Che senza te il cuor mio
Vita non può goder.

Ah che, ecc.
Ipermestra
Parte Linceo, tu come resti, oh Dio!
Infelice Ipermestra? al Padre odiosa,
Rubelle al Ré, ne Figlia più, ne sposa.

Priva del suo compagno
Colomba afflitta, e sola
Piange, sospira, e geme.
Geme, ma si consola
Almeno con la speme,
Che a lui ritornerà.
Misera, anch'io mi lagno
Priva del mio Consorte,
Ma sperar non poss'io,
Se non, che un dì la morte
Unirmi all'Idol mio
Voglia per sua pietà.

Priva del ecc.

Scena quinta

Danao, Ipermestra.
Danao
Figlie, mie care Figlie, in questa notte
Per voi rinasce il Genitor, per voi
Stringo sicuro omai d'Argo lo scettro.
Il Talamo in feretro
Per me cangiaste a' vostri sposi, ed io
Della vita, e del Trono
A voi, mie Figlie, debitore or sono.
Ma tu cosi dolente
Accogli il Padre?
Ipermestra
Oh Dio!
Danao
Forse il tuo cuore
Di si bella fierezza ora si pente?
Ogn'altra tua sorella
Con ardir generoso
Al viver mio sacrificò il suo sposo,
E per la mia salvezza esulta, e gode;
Tu sola . . . .
Ipermestra
Ah Genitore,
Felice in terra non fù mai la frode,
Ne il ciel approvò mai . . . ferma Signore.
Danao
Lascia, ch'io veda . . . .
Ipermestra
E che?
L'orrbil tradimento
Tu protrai rimaner senza spavento?
Danao
Sì mirare il macello
De' perfidi Nipoti agli occhi miei
E' spettacol d'orror, ma però bello.
Ipermestra
Ferma, t'arresta.
Danao
Oh Dei!
Che vedo? Ov'è Linceo?
Ipermestra
Signor rimira
Il tuo nemico in me, dentro al mio cuore
Linceo l'insidiator vive, e respira.
Danao
Che sento! oh ciel!
Ipermestra
Rubella al Genitore
Amor mi rese; egli partissi, ed io
Complice di sua fuga,
Rea per troppa pietade,
E del supplizio suo rimasta erede,
Attendo or la sentenza al regio piede.
(S'inginocchia.)
Danao
E t'ascolto, e ti soffro?
E Rege, e Padre offeso, ancor sospendo
Il tuo gastigo?
Ipermestra
Eccoti il dono tuo
(gli rende lo stile.)
Innocente io tel rendo;
E se tale nol vuoi, or tu lo stringi,
E con men' empia mano
In questo sen del sangue mio lo tingi.
Danao
Ah scellerata, e vuoi
Salvo lo sposo, e il Genitore estinto?
Empio destino, hai vinto, e non m'uccide
la mia rabbia, e il furore?
Cosi dunque deride
Una Figlia i miei voti?
Infelici Nipoti,
Io v'uccisi, or vi piango;
Che della morte mia, vivo Linceo,
Voi periste innocenti, e salvo è il reo.
Ipermestra
Signor. . . .
Danao
Taci; a miei danni
Ecco ritorna armato,
D'Argo abbatte le mura, e incatenato
La strage a vendicar de' suoi Germani,
Misero mi strascina,
Scherzo d'Egizie squadre,
All'ultima ruina . . . .
Ma tu non fosti Figlia, io non son Padre.
Tra ceppi, e tra ritorte
Perfida, in breve attendi
Ferri, lacci, veleni, e strazj, e morte .
(parte.)

Scena sesta

Ipermestra, poi Nicandro con Soldati, uno de' quali porta un bacile, dov'è una Catena.
Ipermestra
Oh Padre! oh Sposo! a voi chi più mi stringa
Il sangue, o pur l'amore?
Obbligo di natura, o pur di fede?
Debbo allo sposo il cuore,
Debbo al Padre la vita:
Egli, che me la diede,
Se la ritolga ancor, purché mi lasci
Gli affetti in libertade, onde poss'io
Allo sposo donar tutto il cuor mio.
Nicandro
Se del suo primo dono
T'abusasti, Ipermestra, ora il secondo
Per me il Padre t'invia.
Ipermestra
Nicandro, all'alma mia
Più grato, e più giocondo
Sarà del primo don forse il presente.
Nicandro
Vedi della tua morte
Qual preludio dolente
Ti manda il Genitor.
Ipermestra
Ritorte?
Nicandro
Sì.
Ipermestra
Di ferro ogni dono,
Come di ferro è il cuor del donatore,
Ma pur cari mi sono
Al par de' lacci di mia pura fede
Per l'amato Linceo questi del piede.
Nicandro
Oltre all'essere infida
Al Rè tuo Genitore,
Ami ancora, Ipermestra, il Parricida?
Ipermestra
Cancellarmi dal cuore
La bell'immago impressa,
Né pur la morte istessa
Col suo strale potrà.
Nicandro
Femmina ingrata
Al Cielo, al Genitore,
Alla Patria, al tuo sangue, ed al mio amore.
Così dunque ostinata
Per chi t'invola, e Genitore, e Trono,
Conservi affetti? e a me, che fui, che sono
Prima ancor di Linceo, del tuo sembiante
Adorator costante,
Serbi implacabil'odio, eterno sdegno?
Di pietà troppo indegno
E' così crudo cuore. Olà, stringete
A quella man delle catene il pondo,
(un Soldato pone la Catena a Ipermestra)
E l'infida traete
Di cieca Torre entro l'orror profondo:
Quivi per sua vendetta, e per suo danno,
Se amante non mi vuol, m'avrà Tiranno.
Ipermestra
Ti sprezzerò Tiranno,
Ti sdegnerò nemico,
Saprò abborrirti amico,
E odiarti amante.
Fedel sarò a tuo danno,
Nell'odio, e nell'amore
Saprà questo mio cuore
Esser costante.

Ti sprezzerò, ecc.

Scena settima

Nicandro, e poi Argia.
Nicandro
Amo Ipermestra, ella al mio amore ingrata
M'abborre, e mi detesta:
Lusingo Argia, ella da me richiede
Per prezzo di sua fede
La morte del Tiranno: a me confida
Danao la vita, e il Trono, ed io pur sento
Di si gran tradimento
Incapace il mio cuore:
Che deggio far, che mi consigli Amore?
Argia
Se a farti detestar l'empio Tiranno,
Che a Stenelo mio Padre involò il Regno,
In te forza non hanno
La gloria, il giusto, la pietà, l'amore,
Muova, Nicandro, almeno ora il tuo cuore
A secondar miei voti,
La strage, oh Dio, di tanti suoi Nipoti,
A cui per sol sospetto
L'empio Danao cangiato hà in questa notte
La sposa in morte, ed in feretro il letto.
Nicandro
Argia, tu sai, che cede
Ogni ragione alla ragion di stato:
Danao, da che possiede
Questo Trono usurpato
Regna con gelosia; consulta il Cielo,
E che tra' suoi Nipoti uno a lui deve
Soglio, e vita involare, intende in Delo.
Argia
E per un solo reo
Svenar tanti innocenti?
Nicandro
Se fra tanti innocenti un reo s'annida
Nella strage comune
Insiem con gl'innocenti il reo s'uccida.
Argia
Perchè celar col manto
Di pace, e d'alleanza il tradimento?
Nicandro
Sai pur, che al Trono accanto
Hà nome di prudenza anche l'inganno.
Argia
E qual sperar potranno
Da lui clemenza i Popoli soggetti,
Se per soli sospetti
Al proprio sangue suo non la perdona?
Nicandro
Di sangue, e di natura
Cede ogni affetto a quel d'una Corona.
Argia
Così fellon, difendi
La ragion del Tiranno, e me rimiri
Spogliata di quel soglio,
Ch'è mio retaggio? e come dunque aspiri,
Con le mie nozze a stringer quello Scettro,
Che t'offre la mia mano?
Ah disleale, invano
Cuopri la tua viltade; o non hai cuore
Per tanta impresa, o più non senti amore
Per l'infelice Argia.
Nicandro
Bella, sospendi
Ancor le tue querele,
E miglior tempo a tue vendette attendi.
Ipermestra infedele
Del Genitore ai voti
Salvò lo sposo.
Argia
Che? vive Linceo?
Nicandro
Di tutti i suoi Nipoti
Questi solo sottratto al suo furore
E' di Danao il terrore, ed il periglio.
Argia
Dunque d'Egisto al Figlio
Dovrò le mie vendette? e tu codardo,
Soffrirai, che Linceo
Te n'usurpi la gloria?
Nicandro
Ascolta.
Argia
E che?
Nicandro
Armato oggi s'aspetta,
Che ritorni Linceo . . . .
Argia
Per far la sua, non già la mia vendetta.
Nicandro
Cadrà Danao trofeo . . . .
Argia
De' Nipoti svenati, e non del Trono
Rapito al Padre mio.
Nicandro
La vita, e il Regno
Perderà quel crudele.
Argia
E far passaggio
Io vedrò con mio danno
Di Tiranno in Tiranno il mio retaggio.
Nicandro
Ma, che brami di più?
Argia
Che bramo? Io voglio
Per opra del tuo amore,
Non dell'altrui furore,
Oppresso l'empio, ritornare al soglio.
Nicandro
Argia . . . . .
Argia
Se cuor non hai per vendicarmi
Lascia ancora d'amarmi: io senza Trono
Di tuo amor, di tua fè ricuso il dono.
Nicandro
Segno d'amor, di fede
Non è l'infedeltà d'alma incostante,
Mia Bella, e chi non vede,
Che vassal traditor
Temer si deve ancor
Perfido Amante.
Argia
Quanto abborro il Tiranno, amo Nicandro,
Stimolo le vendette, e il mio Nemico
Punito pur desìo;
Ma che rimanga esposto
A periglio fatal l'Idolo mio,
Soffrir non posso, e resta
Tra due contrari affetti esposto il cuore;
Se più l'odio lo prema, o pur l'amore.

A due venti esposta Nave
L'alma mia ancor non sà,
Se sperare un di potrà
D'afferrare amico il Porto.
Nè in procella cosi grave
Per lei splende un'astro in Ciel,
Che almen serva a lei fedel,
E di guida, e di conforto.

A due, ecc.

Scena ottava

Campagna tendata nelle vicinanze d'Argo, con la veduta della Città, e levata del Sole.

Delmiro con Soldati, e poi Linceo.
Delmiro
Di tante Regie Nozze
Le pompe a rimirar in si bel giorno
Più dell'usato adorno
Sorge dal Gange il condottier dell'ore.
Oggi in mezzo alli sdegni
Paraninfo di pace il Dio d'Amore,
D'Argo, e d'Egitto i Regni
Stringe con nodo d'alleanza, e parmi
Sorgere omai . . . .
Linceo
Presto, Delmiro all'armi.
Delmiro
Che sento, oh Dio! che miro!
Prence, tu solo, e mesto?
E qual caso funesto . . . .
Linceo
Non più, non più, Delmiro,
Tosto le squadre aduna,
E d'Argo a i danni muovi
Li sdegni, e l'armi nostre, in opra poni,
Quanto hà d'orror la guerra;
Quell'empie mura atterra,
Nè a sesso, nè ad età pur si perdoni.
Delmiro
Di tanti tuoi Germani . . . .
Linceo
Muovi le schiere a vendicarne il sangue.
Delmiro
Come?
Linceo
Ciascuno esangue
Cadde per man della sua sposa.
Delmiro
Oh Dio!
Che intendo!
Linceo
Il viver mio
Io sol debbo alla sposa: in lei natura
Vinta fù dall'amore;
Dell'empio Genitore
Ricusò d'eseguire il rio comando.
Delmiro, io raccomando
Al tuo valor l'impresa. Ah! corri, affretta
La difesa di lei, la mia vendetta.
Delmiro
Dal tuo sdegno, e dal tuo amore
Stimolato questo cuore
Brama stragi, e corre all'armi;
Grida il sangue tuo vendetta,
E implorar la tua diletta,
Pronta aita, udir già parmi.

Dal ecc.

Scena nona

Lìnceo, poi Nicandro con seguito.
Linceo
Adorata Ipermestra, a quai rigori
Del Genitore irato,
Per la salvezza mìa ti vedo esposta!
Oh! ingrato viver mio, se tanto costa.
Nicandro
Prence, Linceo.
Linceo
Nicandro, e chi t'invia?
Vieni a me messaggiero
Dell'empio Danao, o Ipermestra mia?
Nicandro
(L'arte mi giovi) e chiami
Ipermestra ancor tua, e serbi ancora
Affetto per l'ingrata? e ancor tu l'ami?
Linceo
L'amerò finche hò vita, e dopo morte,
Se conservan li spirti amore, e fede,
Sempre costante, e forte
In eterno amerolla.
Nicandro
E tal mercede
Avrà colei da te delle sue frodi?
Linceo
Quai frodi? e che dirai?
Nicandro
Innocente, ingannato, e ancor non sai,
Che a Cresfonte l'amante,
E del soglio di Creta unico erede,
Prima, che a te, giurata avea sua fede?
Linceo
Che intendo!
Nicandro
Sì, costante
Nel primo amor, con te fingendo affetto
Dal marital suo letto
T'esclude e serba a quello
Intatta la sua fè.
Linceo
De' miei Germani . . . .
Nicandro
Finse la Strage, e tu pur la credesti.
Linceo
Ipermestra infedele!
Oh Dio, Nicandro, oh Dio! tu mi uccidesti;
Ma dimmi, or chi t'invia.
Nicandro
Danao, che pur desia
Mantener, la sua fede,
In Argo ti richiama,
E vuol, che anco a dispetto
Del suo primiero affetto
Ipermestra t'accolga oggi Consorte,
O senza sposo sia sposa di morte.
Linceo
Ch'io torni in Argo? a rimirar svenati
Tutti Fratelli miei, o pure infida.
La sposa mia? Nicandro,
Sì tornerò, ma di Guerrieri armati
Argo mi rivedrà gran Duce, e guida.
Nicandro
Tu armato a danni d'Argo? e avrai coraggio
Tornar nemico, dove
Tutti i Fratelli tuoi son pegno, e ostaggio
Di pace, e d'alleanza?
Linceo
E quali prove
Del viver lor mi dai?
Nicandro
E qual, certezza
Hai tu della lor morte?
Linceo
Fà, ch'io veda
Vivi i Germani miei se vuoi, ch'io creda
Danao innocente, ed Ipermestra infida.
Nicandro
Quando il furor ti guida
A' danni suoi, non vuoi, che Danao almeno
Ritenga i tuoi Fratelli, acciocchè ponga
Col lor periglio a tuoi furori il freno?
Linceo
Di tanti, almeno un solo
Ne mandi messaggiero,
E crederò, che ciò, che narri, è vero.
Nicandro
Dunque freni, e sospenda
Il tuo furor l'ostilità, fin tanto,
Che per me Danao i sensi tuoi comprenda.
Linceo
Dentro il mio cuore offeso
Un doppio sdegno acceso
Pugna crudel mi fà:
Ma quanto più s'aspetta,
E tarda è la vendetta,
Più barbara sarà.

Dentro il mio ecc.
Nicandro
Sospesi almen, se non del tutto estinsi
Il furor di Linceo: Danao frattanto
Potrà porsi in difesa. Acquista lode,
Quando al pubblico ben giova la frode.

L'inganno innocente,
Che a un mal fà riparo,
Quel nome sovente
Converte in pietà.
E il mondo, che vede,
Che l'opra è pietosa,
Per dargli mercede,
Sol lode gli dà.

L'inganno ecc.

Scena decima

Prigione.

Ipermestra, poi Argia con Paggio, che porta una sottocoppa con vaso
Ipermestra
Sventurata mia fede,
Più infelice costanza, a quali pene,
A quai martiri atroci
V'espon l'asprezza ria d'un empia sorte!
Ma per un poco ancora
Non mi fate languir quest'alma forte.
Argia
Ipermestra infelice!
Ipermestra
Amica Argia.
Argia
Il barbaro tuo Padre
Del suo furor ministra a te m'invia.
Ipermestra
Che vuol da me, che chiede?
Argia
Vuole, che per mercede
Della vita salvata al tuo Consorte,
Tu in quel nappo fatal beva la morte.
Ipermestra
Numi, se giusti siete,
E come permettete,
Che abbia tal premio un'innocete amore?
Argia
Dove s'usurpa il Trono
Tiranna crudeltade,
Son colpa l'innocenza, e la pietade?
Vedi me, che pur sono
Di Stenelo la Figlia, a qual destina
Indegno ministero: a te si forte
Vincolo d'amistà mi stringe, e vuole,
Ch'io ministra pur sia della tua morte.
Ipermestra
Anzi perciò mi duole
Meno il morir, se amica man mi chiude
Le luci moribonde, e se compianta
Nell'ultimo sospiro, almen poss'io
Il nome proferir dell'Idol mio.
Argia
Oh cielo! a qual'uficio
Mi serbò la Tirannide!
Ipermestra
Sù via
Col ritardare il mio crudel destino,
Più terribil non far la morte mia.
Porgimi il tosco.
Argia
Prendi,
V'accosta il labbro amante, e incontro a morte
Vanne con lieto cuor, con alma forte.
Ipermestra
Se mai ti giunge innante
L'adorato Linceo,
Narragli il caso mio;
E se per sorte, oh Dio!
Sull'amate pupille
Tu vedi comparir due care stille,
Digli per me, che volentier per esso
Al labbro mìo questo veleno appresso.
Argia
Mi manca in petto il cuore.
Ipermestra
E se adirato
De' suoi Germani a vendicare il sangue,
E l'acerbo mio fato,
Duce lo scorgerai d'armate sqnadre,
Di, che a Danao perdoni,
Che sebbene è Tiranno, egli è mio Padre.
Argia
Oh! di Padre migliore
Ben degna Figlia! oh Dio!
Resister non poss'io, mi scoppia il core.
Ipermestra
Per te, caro Linceo,
Sospirato Consorte,
E per salvezza tua bevo la morte.

Scena undicesima

Danao con Guardie, e dette.
Danao
Bevi la morte, sì, perfida, altera
Non andrai del mio strazio, e del mio scherno;
Vedi la propria sera
Pria della morte mia, le vie d'Averno
M'agevoli il tuo piè, tu mi precedi.
E allorché varcar vedi
Le sponde di Cocito
Un'orrid'alma insanguinata, e mesta,
Dì pur; del Genitor da me tradito
L'ombra, misera è questa.
Ipermestra
Padre, Padre, che tale
Io vuo' chiamarti ancora
In quel punto fatale,
Che tu del viver mio tronchi gli stami;
Giacché morta mi brami,
Per far, ch'io chiuda in pace i giorni miei,
Lascia almen, che la destra
Pria di morir ti baci, e in essa adori
I decreti del Ciel.
Danao
Baciala, e mori.
Argia
(E questo è cuor di Padre?)
Ipermestra
Or più contenta
Bevo la morte mia. Nel cieco orrore
Dì questo carcer mi ritiro: Addio,
Per sempre amica Argia, addio Signore.

Padre addio men vado a morte,
Ma deh! spargi almen due lagrime
Sovra il freddo cener mio.
Sì men vò; mio Padre, Addio.

Scena dodicesima

Danao, Argia, e Guardie.
Argia
(Ne si muove a pietà, barbaro cuore!)
Argia
Argia, vanne, e le assisti.
Argia
Se di tanto rigore
T'armò la colpa sua, or la sua pena
Ti commuova a pietà. La morta salma
Entro al sepolcro abbia riposo, e l'alma
Non vada errante per le vie d'averno.
Danao
Troppo è grave il suo fallo, ed il mio scherno
Pure al merto d'Argia,
Non al delitto suo s'usi clemenza.
Tosto, che estinta sia,
Io lascio, o Principessa, alla tua cura,
Che abbia Tomba condegna
Là nel parco real fuor della mura.
Argia
Tanto farò, destin crudo, e spietato;
Figlia infelice! Genitore ingrato.
(parte.)
Danao
La morte della Figlia
Non mi toglie ai rigor del mio destino;
Lo sò, lo vedo, in breve anch'io son morto,
Ma il morir vendicato,
Non è lieve conforto;
Anzi saria piacer di un disperato,
E morirla giocondo,
Se tutto al perir suo, perisse il mondo.

Più contento dal suo monte
Si precipita il torrente,
Se cruccioso, se fremente,
Con le torve rapid'onde
Seco porta argini, e sponde
A perire in seno al mar.
E se incontra, o scoglio, o ponte
Più s'infuria, e il corno estolle,
E si frange, e spuma, e bolle,
Che assorbir tutto vorrìa,
E trar seco in compagnia
Ogni cosa a naufragar.

Più contento ecc.

Fine dell'Atto primo.

ATTO SECONDO

Scena prima

Bosco di Cipressi, e d'Abeti nel Parco Reale, fuori della Città, con vari Sepolcri tra quali quello d'Ipermestra, e sua Inscrizione.

Ipermestra, Argia.
Ipermestra
Per te dunque respiro, amica Argia
Questo avanzo di vita?
Argia
E per me sei
Tolta al carcere, e all'ira
Del crudo Genitor.
Ipermestra
Quel, ch'io bevei,
Non fù dunque veleno?
Argia
Io destramente
In sonnifero umore,
Quel mortale liquor tosto cangiai.
Ipermestra
Ond'io così restai
Sopita, e non estinta.
Argia
E allorchè oppressa
Da grave sonno, immagine di morte,
Ti vidi, o Principessa,
D'Argo fuor delle porte
Recar ti feci in questo Parco, e sola
Io la cura mi presi
Della tua tomba.
Ipermestra
E ch'io respiri, e viva
I popoli, e mio Padre ancor non sanno?
Argia
Anzi per meglio accreditar l'inganno
Te ancor sopita ascosi
Là dentro al bosco, e del tuo nome inciso
Quel gran marmo lasciai.
Ipermestra
Ma, se deriso
Viva il Padre mi scopre,
Contro di te rivolgerà lo sdegno.
Argia
Qual di vera amistà più forte segno
Darti potrei, quanto il morire, o cara
Per si bella cagione?
Ma non temer; Suppone
Danao te fra gli estinti.
Ipermestra
Or, che far deggio
In odio al Genitor, sola, inesperta?
Argia
Tu dall'ombre coperta
Del real Parco, a ritrovar lo sposo
Vanne sicura omai; in Argo io torno.
Ipermestra
Un si felice giorno,
In cui per te rinasco a nuova vita
Segnar dovrei con bianca pietra; e pure
Bersaglio alle sventure
Sento ancor l'alma oppressa.
Manterrò sempre impressa,
Dolce amica, nel cuore
La memoria immortal di un tanto amore.
Argia
Tra le tue gioie, o cara,
Ricordati di me.
E allor, che il dolce sposo
Vedrai lieto, e gioioso,
Dirai; sorte si rara,
Argia, godo per te

Tra le tue ecc.
Ipermestra
Oh cieli! oh numi! e qual vicenda è questa!
In si brevi momenti
Dalla morte ai contenti?
Vivo, sogno, o son desta?
Oh cara amica Argia, quanto ti devo!
Da te nel tempo istesso,
E vita, e sposo, e libertà ricevo.

Mentre stragi, e morte attende
Preso al laccio l'augelletto,
Mano amica ecco gli rende
Vita insieme, e libertà.
A trovar la sua compagna
Vola allora con diietto,
E la selva, e la campagna
D'un bel canto empiendo và.

Mentre, ecc.

Scena seconda

Linceo.
Linceo
Sdegno, Amor, Gelosia,
Spiriti di vendetta,
Cessate d'agitar quest'alma mia.
Intanto che Delmiro
Per me chiede Ipermestra al crudo Padre,
Lungi dalle mie squadre
Io qui lasso m'aggiro,
Per dar tra questi orrori
Qualche breve sollievo a' miei timori.
Ma de' Germani miei
Alcun non giunse: il perfido Nicandro
M'ingannò, mi tradì la gelosia,
Mia sposa, Anima mia,
Io sospettai della tua fede a torto.
Ma che miro! che leggo! oimè, son morto.
(legge l'Iscrizione.)

Perche sdegnò vibrar l'armata destra
Nel petto del suo sposo al Padre infida,
Qui estinta dal Velen giace Ipermestra.

Oh Dio! dove mi guida
Disperato furor? morto il mio bene?
Misero, e vivo? Ah nò; voglio a dispetto
Del mio destin spietato
Comun seco la Tomba,
Se mi vietò d'aver comune il letto.
Tu, bell'Ombra, se mai
T'aggiri intorno alla tua morta spoglia,
Leggi sul corpo esangue
Scritti a note di sangue
Il mio amor, la mia fede,
Come or da me si vede,
Ma troppo tardi, ahi lasso,
La tua fede, il tuo amor scritti in quel sasso.
Si si, d'amor trofeo
Qui cada il corpo mio.

Scena terza

Ipermestra, e detto.
Ipermestra
Ferma, Linceo.
Che fai?
(mentre vuol gettarsi sulla Spada, Ipermestra lo trattiene.)
Linceo
Cieli! che veggio?
Ipermestra, cor mio,
Oh amore, oh sorte, oh Dio!
E son vivo, e non dormo, e non vaneggio?
Tu vivi?
Ipermestra
Sì, mio caro,
Vivo, e son tua.
Linceo
Della tua fè Nicandro
Mi fece dubitar; della tua morte
Mi fè temer quel marmo:
Ambo mendaci, ahi lasso,
Uniti a' danni miei, Nicandro, e il sasso.
Ipermestra
Cosi felice sorte
Di libertà, di vita, e di Consorte,
Tutta debbo ad Argia.
Linceo
Come?
Ipermestra
Partiamo al Campo,
I casi miei ti narrerò per via.
Linceo
Andiamo: è tanto grande
Il ben, che ora possiedo,
Che son stupido ancora, e ancor nol credo.
Ipermestra
Io sento nel petto . . .
Linceo
Io provo nell'alma . . .
Ipermestra
Sì grande il diletto,
Linceo
Sì dolce la calma,
a 2
Che oppresso il mio cuore
Ridirlo non sà.
Linceo
Dal sen del dolore,
Se nasce il contento . . .
Ipermestra
Un tanto piacere,
Se vien dal tormento . . .
Linceo
Chi brama godere,
a 2
Impari a soffrire,
Che un giorno godrà.

Scena quarta

Cortile Regio.

Danao, Nicandro.
Nicandro
Tentai, Signor, ma indarno
Col concertato inganno
Di ricondur Linceo nelle tue mani:
Di tanti suoi Germani,
Per dare a i detti miei l'intera fede,
Vederne un solo ei da te brama, e chiede.
Danao
E tu di ciò l'impegno
Ti prendesti, Nicandro?
Nicandro
Per porre al di lui sdegno
Un pronto freno, e ritardare il corso
Alle vendette sue, fin tanto almeno,
Che giunga in tuo soccorso
Il Rè di Creta.
Danao
Omai non v'è più scaampo.
Nicandro
Perche, Signor, perche?
Danao
Giungerà tardi
Creta in soccorso d'Argo.
Hicandro
Un nuovo inciampo
Pongasi al suo furore.
Danao
E come, oh Dio!
Nicandro
Di sua mano Ipermestra
Scriva a Linceo.
Danao
Non sai,
Che Ipermestra morio?
Nicandro
Cieli! che intesi mai!
Ed è vero, Signor, ciò, che mi dici?
Danao
Così de' miei nemici
Potess'io rimirar nel sangue spento
Lo sdegno mio, che allor morrei contento.
Nicandro
Conti fra tuoi nemici anche la figlia?
Dnao
Figlia non è chi perfida congiura
Contro del Padre, e ascolta
Più le voci d'amor, che di natura.
Nicandro
Ah! che facesti! hai tolta
A lei la vita, a te, Signor, la speme,
A me il mio Bene, ogni difesa al Regno.
Danao
Che?
Nicandro
Il più forte ritegno
Al furor di Linceo era la bella,
L'adorata sua sposa:
Per lei sola, per quella
Rispettava il tuo soglio, e il sangue tuo,
E offerta generosa
Facea di sue vendette all'amor suo.

Scena quinta

Argia, e detti.
Argia
Signor, giunse Delmiro
Sotto le mura, e per Linceo minaccia
Argo mandar fra poco
A ferro, a sangue, e a fuoco,
Se a lui tosto non rendi
La cara sposa.
Danao
Empio destin!
Argia
Per lei
De' Germani la strage a te perdona.
Per lei t'offre la pace, e per lei, dona
Le sue vendette.
Danao
Oimè!
Nicandro
Non tel diss'io?
Argia
Per lei l'offese sue manda in oblio.
Danao
Perfide stelle! incontro
Vado al mio fato: quanto più m'ingegno
Di schivare il suo sdegno.
Nicandro, all'armi: alte difese estreme
Anima le mie squadre. Unica speme
De' disperati è il non sperar salute,
Che se le mie cadute
Scritte hà di già la sorte,
Io voglio, io voglio almeno
Ad onta del destin morir da forte.

Sazierò col morir mio,
Fato rio,
La tua rabbia, ed il rigor,
Regno, e vita a me torrai,
Ma non mai
La fortezza a questo cuor.

Sazierò, ecc.

Scena sesta

Nicandro, e Argia
Nicandro
Bell'Argia, se finora
Tepido l'amor mio
Corrispose il tuo amor, con mio rossor
Scoprirti ora vogl'io
L'alta cagione: amore
Per l'estinta Ipermestra entro al mio petto
Diviso avea l'affetto.
Argia
Che intendo!
Nicandro
Ebbe due sfere
Fin qui il mio fuoco, or per te sola il cuore
Divampa tutto d'un'istesso ardore.
Argia
Mia rivale Ipermestra!
Nicandro
Non sospettar di lei: io solo il reo
Fui d'un'amor diviso
Al suo sposo, Linceo.
Ella sempre fedele
Con disprezzo, e con riso
Mirò i miei pianti, udì le mie querele.
Argia
La metà del cuor mio,
Dunque è dovuta a lei
Per ricompensa almeno,
Ch'ella morendo, erede
Di tutto l'amor tuo mi rese appieno.
Nicandro
Ama la bella estinta; io mi contento
Della metà dell'amor tuo: ma sento
Così crescer nel sen la fiamma mia,
Che d'un'estinta, ancora
Quest'amante mio cuore ha gelosìa.
Argia
Un solo cuore
Non è capace
Di doppio amore:
Una sol face,
Un solo ardore
Strugger lo sà.
O doppio in seno
Il cuore avesti,
O meco almeno
D'amar fingesti,
Mentre era pieno
D'altra beltà.

Un solo ecc.
Nicandro
Del mio diviso amore
La prima fiamma in Ipermestra estinta,
Per Argia l'altra raddoppiò l'ardore,
E sento, che mi resta
Pietà per quella, e solo amor per questa.

Qual farfalla, a due facelle
S'aggirò dubbioso il cuore;
Or che è spenta una di quelle,
A perir nell'altro ardore
Risoluto il cuor sen và.
Quella piange, e questa adora,
In cui sola il volo arresta,
E di quella trova ancora
Tutto quanto accolto in questa
Lo splendore, e la beltà.

Qual ecc.

Scena settima

Sobborghi della Città rovinati, e condotti d'acque demoliti, con Padiglioni.

Delmiro, Soldati, poi Linceo, poi Ipermestra.
Delmiro
Demolite, atterrate,
Valorosi Guerrieri, ogni memoria
Di si barbaro Regno, e non lasciate
Pietra, sù cui men possa l'Istoria
Scrivere: Argo qui fù. Tutto s'estingua
E col ferro, e col fuoco.
Cosi dunque all'offesa
L'oltraggio ancor s'aggiunge, e cosi poco
Alle vendette accesa
Nobil'alma si crede?
Ma saprà ben Linceo
Pari all'ingiuria sua render mercede.
Eccolo appunto: e come lieto in viso!
Linceo
E ben, Delmiro, del Tiranno d'Argo
Qual risposta mi rechi, e quale avviso?
Delmiro
Non differir più tardi,
Signor, le tue vendette; atterra, ed ardi
Quest'infame Cittade,
Ne a sesso, ne ad età diasi perdono:
Precipita dal Trono
Lo spietato Tiranno, e fanne scempio:
Non resti di quell'empio
Il cenere ne pure.
Linceo
Qual risposta ti diè?
Delmiro
Per messaggiero
A me spedito, ei chiede,
Che possa al campo tuo sulla tua fede
Venir Nicandro, e nuove trame ordire,
Onde inciampo frapponga
De' nostri cuori al generoso ardire,
E giungendo il soccorso
Alla Cittade oppressa
S'opponga poi di tua Vittorie al corso.
Linceo
D'un menzogner Tiranno
L'arti son queste: ma farò, che cada
Sovra lui stesso il mal tessuto inganno.
Olà: di fede, e sicurezza il segno
A Nicandro si rechi:
S'oda ciò, che l'indegno
Uccisor di sua stirpe in sua difesa
Esporre ardisca; e per maggior tormento
Sì rimproveri prima,
E poi tra le ruine
Del Regno non più suo cada, e s'opprima.
Delmiro
E soffrir puoi, che resti invendicata
Per un momento solo
La tua cara Ipermestra?
E che non cada incenerita al suolo
L'empia Cittade ingrata,
Che fuma ancor del sangue,
Del sangue, oimè, de' tuoi Germani estinti,
Ognun de' quali affretta
Il tuo giusto furore, e sui Tiranno
Memorabil ti chiede aspra vendetta?
Linceo
So quanto dal mio cuore
Chiede natura, e quanto chiede amore,
Ma Nicandro s'appressa.

Scena ottava

Nicandro con seguito, e detti.
Nicandro
Signor . . . .
Linceo
Forse ritorni
Con arti nuove, e più coperti nodi
Di lusinghe, e di frodi
A deluder Linceo?
Nicandro
Torno qual venni,
Per ubbidir del mio Monarca ai cenni.
Egli, non da timore
Dell'armi tue, ma da pietà sospinto
Del malnato furore,
Che alle stragi ti spinge, e alle vendette,
Se da te si permette
Libero il campo, a te venir desia,
Onde chiaro dimostri
Il suo sincero affetto,
E l'ingiusta cagion del tuo sospetto.
Che risolvi, o Linceo?
Linceo
Cieli! che ascolto?
Tu vaneggi, o Nicandro: e potrà dunque,
Potrà Danao fissar sù questo volto
Francamente lo sguardo? e potrà meco
D'innocenza parlar, parlar di amore,
Chi ne pietà, ne fede
Finor conobbe? e ancor Nicandro il crede?
Nicandro
Credo, Signor, che, se vorrai por freno
All'ardor, che nel seno
Ora ti bolle, e la ragion confonde,
Vedrai, che dar più espresso
D'affetto e di candor segno non puote,
Quanto il venir qui nel tuo campo istesso
A sgombrar l'importuna
Ombra de' dubbi tuoi,
E a confermar, se il vuoi,
Tra lieti amplessi più che mai verace
Quella, che già ti diede, arra di pace.
Linceo
Di qual pace ragioni? Ah . . . . ma s'ascolti,
Giacché lo vuole, in faccia alle mie squadre
Questo amoroso Padre,
Questo di regia fede unico esempio.
Ma se poi sovra l'empio
Caderà l'empietade, e se maggiore
Si sveglierà il furore
Contro il crudele, e disleal Tiranno,
Sua la colpa sarà, suo solo il danno.
Per me libero venga, e serva Arbante,
Se di venir non teme,
A lui di scorta, e sicurezza insieme.
Nicandro
Benchè scoperto, e ignudo
(parte un Capitano.)
Non alberga timore entro a quel petto,
A cui Ragione, ed Innocenza è scudo.
Linceo
L'esito ne decida, il Cielo, e il mondo
Vedan gl'inganni altrui, le offese mie,
E poi, quanto men pressa,
Tanto più rovinosa
La fatal scenda orribile tempesta
Dell'acceso mio sdegno,
Tutto a punir col suo Monarca il Regno.

Più si preme, e più si serra,
Maggior guerra
Porta alfin la fiamma intorno,
S'ella un giorno
Sciolta, e libera sen và.
E il villan, se in nuovi inciampi
Ne' suoi campi
Rompe il torbido torrente,
Più fremente
Traboccarlo un dì vedrà.

Più si ecc.

Scena nona

Danao, con nuovo seguito, e detti.
Danao
Qual torbido consiglio,
Qual crudo genio insano
T'agita l'alma, e ti commuove, o figlio,
Entro al mio sangue ad imbrattar la mano?
Perchè notturno e solo
Da chi t'ama fuggisti, ed or la spada
Volgi contro chi t'ama,
E vuoi, che alle tue piante appresso ei cada?
Vieni tra queste bracoia
Troppo caro nemico; e colà dentro
Alla Città, che il tuo furor minaccia,
Torna a goder di mie promesse il frutto.
Quivi se del mio sangue
Sitibondo pur sei, quivi m'uccidi,
E poi sulla mia morte esulta, e ridi.
Linceo
Perfido, in van ricorri
All'usate tue frodi. E sotto il velo
Di mentita pietade
Ingiurioso alli Uomini, ed al Cielo,
Che i seni più profondi
Scuopre dell'alma rea,
La rabbia in vano, e l'empietà nascondi.
Dove, o crudel, m'inviti?
Forse a mirar tra quelle odiate mura
I tristi segni della mia sventura?
Danao
Degli amati Germani
Agli amplessi t'invito;
T'invito a riveder la cara sposa,
Che mesta, e lagrimosa
Sospira, e chiama il caro suo marito,
E fra timore, e speme,
Come piace ad Amor, languisce, e geme.
Linceo
E il Cielo ancor non piove
I fulmin suoi sovra il tuo capo indegno?
Forse di quei Germani or mi favelli,
Che già per tuo comando,
Empio mostro inumano,
Vittima cadder di furtivo brando,
E laceri, e insepolti
Giaciono ancor nel proprio sangue involti?
Forse di quella sposa
A cruda morte destinata, e tratta,
Sol perchè fù pietosa,
E a me serbò sua bella fede intatta?
Barbaro, e credi ancora . . . .
Danao
Il tuo errore compiango: E dove, e come
Sognasti mai così esecrandi eccessi?
Vive Ipermestra, vive,
E vivi sono i tuoi Germani anch'essi.
Vieni, e un solo momento
Potrà nella mia Reggia
Render pago il tuo cuore, e il mio contento.
Linceo
Più resister non posso
Al mio giusto furore. Olà, Delmiro,
Del real Padiglione
S'alzin le tende.

(S'alza il Padiglione, ed esce Ipermestra.)

Scena decima

Ipermestra, e detti.
Danao
Oh Numi! che miro?
Nicandro
Oh Ciel! che miro?
Vive Ipermestra ancor?
Danao
Sogno, o deliro?
Ipermestra
Vive Ipermestra, si; ma se pietoso
Non lega in bella pace
Al genitor lo sposo,
Quello, che nel mio cuore
Già non fece il velen, farà il dolore.
Nicandro
Oimè, chi mi consola?
Danao
Chi al mio rossor m'invola?
Linceo
Dove, o crudel, rivolgi
le spaventate luci? Ad Ipermestra,
Ed a me le rivolgi: a lei, che estinta
Nella Tomba pensavi, a me, cui sempre
Con menzognera, e finta
Pietà tradisti. Ah! più, che tigre, ed angue
Padre disumanato,
Traditor di tua figlia, e del tuo sangue!
Credesti, che impunita
Il giusto Ciel tanta empietà lasciasse?
Ecco la regia fede, ecco l'amore
Del tuo paterno cuore:
Ma saprò vendicarmi. E questo giorno,
Che a tuo perpetuo scorno
Le tue frodi scoprì, con egual sorte
Quelle pur coprirà nella tua morte.
Danao
Giacché l'empio destino,
E il cieco amor di quella Figlia ingrata
Volle cosi, non aspettar, ch'io pieghi
A pentimenti, o a preghi
Questa senza timore alma ben nata.
Sappi pur, che nel petto
Ebbero, e avran ricetto
Odio, rabbia, e furor; sappi, che intrisi
Giaccion nel sangue loro
I tuoi fratelli orribilmente uccisi;
Sappi pur, che il tuo bramo, e tra gli estremi
Perigli il cercherò; sappi, che al fine
Lieto morrò, e se è pur destin, ch'io mora,
Ma che Re sono, e non son vìnto ancora.

Senza Scettro, e senza Trono
Abborrisco ogn'altro dono;
E gradita
La vita non m'è,
Ben potrà ferro, o veleno
L'alma trar da questo seno,
Non dal cuore
L'onore di Rè.

Scena undicesima

Linceo, Ipermestra, Delmiro.
Linceo
Vanne, perfido vanne,
Ma per poco, a seder sovra il tuo soglio
Sola cagìon del tuo superbo orgoglio.
Saprò ben'io tra le querele, e il lutto
Del popol tuo distrutto
Trarti, lacero il crin, lacero il manto
Ai freddi avanzi accanto
Dei traditi Germani. E quivi al fine
A placar le lor'Ombre,
E a colmar tue rovine
Con questo ferro a vendicarmi eletto
Codest'anima rea scioglier dal petto.
Seguitemi, o miei fidi.
Ipermestra
E dove corri,
Sposo, mio caro sposo? ah cessi omai
Da cosi fiere ostilità il tuo sdegno.
Al furor tuo ritegno
Imponga il nostro amor; deh spegni, oh Dio!
Spegni nel pianto mio
Del giusto sdegno tuo l'orrida face,
E ad Argo, al Padre mio dona la pace.
Linceo
De' miei Germani estinti
Grida vendetta il sangue, e più la chiede
La crudeltà del Padre tuo, che morta
Già ti voleva.
Ipermestra
E tanto ti trasporta
Di vendetta il desio,
Che già posto in oblìo,
Quanto io feci per te, tu vuoi dell'empio
Più tosto, che di me seguir l'esempio?
Linceo
Cara, molto degg'io
A tua illustre pietà, ma deggio molto
Anche all'onor si gravemente offeso.
L'una, e l'altro si salvi. Odi, o Delmiro:
Se nel fiero conflitto
Dell'assalto guerrier rivolge l'armi
Danao contro di noi, se riman vinto,
In grazia d'Ipermestra si risparmi
Il di lui sangue, e resti
Prigioniero bensì, ma non estinto.
Delmiro
Quanto imponi farò: ma come ignoto
E il viver d'Ipermestra al Genitore?
Linceo
De' suoi casi il tenore
In altro tempo a te farò ben noto.

T'amo, o bella, da te il cuore
Legge prende, e sol desia
Di mostrarti la sua fè.
Ben tu sai bell'idol mio,
Che il chiaror degli occhi tuoi
Tutto accende il mio desio,
Che sol nasce, e vive in te.

T'amo, ecc.

Scena dodicesima

Ipermestra, Delmiro con Soldati.
Delmiro
Come abbattuto, e involto
Miro ancora li tuo volto
Tra funesti pallor? vedrai col tempo
Ogni fiera procella
Di milìtar furor cangiata in calma.
Ipermestra
Sì, potess'io dell'alma
Tranquillar le tempeste.
Delmiro
E che paventi?
Ipermestra
Temo Delmiro, oh Dio!
Al crudo Padre mio
Minacciati dal Ciel gl'infausti eventi.
Delmiro
Perchè temer? sai pure
Gli ordini di Linceo:
Egli impone, e consiglia
Nel Padre reo di rispettar la figlia.
Ipermestra
Il povero mio cuore
Nell'aspro suo dolore
Non hà, chi lo consoli,
Non trova ch'il ristori,
Ma tutto è crudeltà.
Il Padre m'è tiranno,
Il vivere è mio affanno,
Nè posso colla morte
Almeno aver pietà.

Il povero ecc.

Delmiro
Gran forza hà la beltà! mentre più bolle
Spirito di vendetta in nobil cuore,
Basta, che umido, e molle
Gli si presenti in gentil volto un ciglio,
Cangia tosto consiglio, e in dolce calma
Tornan gli spirti, e il bel sereno all'alma.

Sìa pur di selce un cuore;
Che d'un bel ciglio al pianto
Resistere non sà.
Spegner l'altrui furore
In un momento hà il vanto
Piangente la beltà.

Sia pur ecc.

Fine dell'Atto Secondo.

ATTO III

Scena prima

Atrio corrispondente ai Giardini Reali.

Danao furioso, e agitato.
Danao
Ove son? . . . . dove fuggo? . . . . e chi mi toglie
Al furor di Linceo, e al mio rimorso?
Chi mi porge soccorso?
Deh! perchè non m'accoglie
Nel suo centro l'abisso, e non m'invola
Al mondo, ed a me stesso?
Veggio i Nipoti estinti
Armati di ceraste a un tempo istesso
Scagliarsi contro me. Larve, e fantasmi
Turbano i miei riposi; assenzio, e fiele
Condiscon le mie mense; angosce, e spasmi
Divoran le mie viscere. Di pianto,
Di strida, e di querele
L'orribil suono intanto
Mi ferisce l'udito.
Nò, che non hà Cocito
Della pena ch'io sento
Spasmo più atroce, e più crudel tormento.

Scena seconda

Nicandro, e detto.
Nicandro
Signor, che fai? già demolisce, e atterra
Il nemico furor . . . .
Danao
Nicandro, se ami,
Se ami il tuo Rè, disserra
All'alma mia del carcere le porte.
Morte ti chieggio, morte. Aprimi il seno
A chi la vita e grave,
Il dar morte è pietà: toglimi almeno
Al mio crudo rimorso, a quest'intenso
Anticipato Inferno.
Nicandro
Ah! tolga il Cielo
A me pensier sì empio, a te, Signore
Sì funesto desìo. Dove ti guida
Disperato furore?
Danao
Oh Dio! non senti,
Come gridan vendetta gl'innocenti
Miei Nipoti svenati?
Ah! se morte mi viene
Da amica mano, sia
Men grave, e men penosa all'alma mia.
Nicandro
Mio Rè, richiama al Cuore
Gli spiriti smarriti: un regio seno
Non dia luogo al timore.
Chi dal destino è offeso
Se con tranquillo cuor riceve i colpi,
Toglie all'avversità la forza, e il peso.
Temi forse del Trono,
Che della sorte è dono?
Un gran cuore è un gran Regno, in cui fortuna
Non ha ragione alcuna.
Temer puoi della vita? I disperati
Han più d'un cuor, più di due braccia ancora.
Intatta è la tua Reggia, e sono armati
Tutti i vassalli tuoi per tua difesa;
Pria di tentar l'impresa
Non smarrire il coraggio.
Allor, che hà men di speme
Acquista più d'ardire un cuor, che è saggio.
Danao
Prence amico, mi porti
Tal conforto nel sen, ch'io di già sento
Crescermi il cuor nel petto: ogni tuo accento
Balsamo fù, che ristorò gli spirti
A quest'alma smarrita;
Deh segui, e tu m'addita
Le strade, ond'io possa al nemico sdegno
Sottrar me stesso, e il Regno.
Nicandro
Sappi, che d'Argo a i danni
Un più forte nemico armò Linceo.
Danao
Chi mai?
Nicandro
La sete
Danao
E come? Astri tiranni!
Nicandro
A recarne aspra guerra
Quasi bastante il suo furor non fosse,
L'artificiose vie, che per sotterra
Conducon l'acque in Argo egli distrusse.
Danao
Armisi ogni elemento
A' danni miei, Nicandro,
M'assista il tuo valor, nulla pavento.
Nicandro
A noi tentar conviene
L'ultima sorte, e dall'afflitte mura
Allontanar del fier nemico il campo.
Quando meno ci attende
L'esercito nemico, allor si assalga.
E della nostra sorte
Un sol giorno decida, e una battaglia.
Danao
Pugnerò, ma qual destriero
Generoso al corso usato
Se ode un fiato
Corre altiero
Rompe il morso, e ogn'altro fren.
Tale anch'io d'ira, e furore
L'alma, el core accenderò,
E saprò correr coll'armi
A sfogar l'ardor del sen.

Pugnerò, ecc.

Scena terza

Argia, e Nicandro
Argia
Nel comune periglio,
Nicandro, il tuo valore
Il tuo zelo, il tuo amore,
Quale opportuno, e provido consiglio
Ti suggerisce al cuor?
Nicandro
Se tu, mio bene,
Non fossi in Argo esposta al comun danno,
Goderei fra catene
Oppresso rimirare il fier Tiranno,
O vittima svenata, al tuo gran Padre:
Ma voi, luci leggiadre
Animate il mio braccio alla difesa;
E per te sola accesa
L'alma di zelo stimerà gran sorte
Andar per tua salvezza incontro a morte.
Argia
Tante finezze al cuore
Ti suggerisce amor?
Nicandro
Credimi, Argia,
Che quest'anima mia così t'adora,
Che, se Ipermestra si movesse ancora
Ad esser men ritrosa a' desir miei,
Quanto già l'adorai, l'aborrirei.
Argia
Degno di miglior sorte
E' dunque un tanto amor vanne, e da forte
Combatti, e spera; il Cielo
Assisterà propizio
Al tuo amore, al tuo zelo.
Vanne, ma nel cimento
Ti sovvenga, che porti entro del petto
Un cor, che non è tuo; con più rispetto,
E con meno ardimento
Vanne incontro al nemico:
Più della gloria tua,
Del nostro amor ti sproni il bel desìo,
E nel periglio tuo temi del mio.
Nicandro
Vado, ma la mia fede
Da te non partirà
Coll'alma amante.

Ne bramo altra mercede,
Che morto amare ancor
Quel tuo sembiante.
Argia
Oh Ciel! Nicandro parte,
E dell'anima mia
Seco si porta ancor la miglior parte.
Che fai, che pensi, Argia?
Corre un'egual periglio
Col viver di Nicandro il viver mio.
Resto, ò lo sieguo? oh Dio! Numi consiglio.

Si siegua, e il mio petto
Inerme, ed ignudo
Al caro diletto
Servire di scudo
Almeno potrà.

Se al pari di morte
E' forte l'amore,
Rigore di sorte
L'amante mio cuore
Temere non sa.

Scena quarta

Campo di Linceo attendato.

Ipermestra, e Linceo.
Linceo
Fuor della regia tenda,
Mesta, e con ciglio torbido, e pensoso
Lontana dal tuo Sposo,
Adorata Ipermestra, ove t'aggiri?
Ipermestra
A dar, caro Linceo,
Qualche sfogo segreto a' miei sospiri.
Linceo
Che t'affligge mio bene?
Ipermestra
Ognor presenti
Fansi al pensiero, oh Dio!
I presagiti casi al Padre mio.
Linceo
Se il colpo, che paventi
E' prescritto dal Cielo alla mia destra,
Non temere, Ipermestra,
Che i presagi sinistri
Schivar ben' io saprò.
Ipermestra
Sposo, non basta.
Braccia sono del Prence anche i ministri.
Linceo
Sai pur, che alle mie squadre
E' legge universale
La figlia rispettar nel di lei Padre.
Ipermestra
E' pur pavento ancor.
Linceo
Spera, che il Cielo,
Fatto pietoso a' tuoi sospiri, e al pianto,
Frangerà forse alquanto
Del crudo Padre il duro genio altero.
E s'egli prigioniero
Conoscerà il suo fallo, ed al mio piede
Chieder vorrà mercede,
Forse, chi sa? trionferà l'affetto.
Ipermstra
Oh! d'alma generosa
Sensi ben degni? io sento, che dal cuore
Scaccia bella speranza ogni timore.

Dubbia l'alma, benché sia,
Ed incerta del suo fato,
La consola il labbro amato,
E al timor ceder non sà.
La tua fè la tua bell'alma,
La virtù che in te risplende,
Mi difende,
E la speme nascer fà.

Dubbia ecc.

Scena quinta

Delmiro, e Detti.
Delmiro
Signor, soccorso, aita:
Improvvisa sortita
Fece dalla Città Nicandro armato,
Le trinciere assalì, disordinato,
E ripien di spavento
Erra smarrito il campo, e te richiede.
Vieni, Signor, rintuzza l'ardimento
Al temerario assalitor.
Linceo
E tanto
Ardisce Danao ancor? così il mio sdegno
Pensa a placar, per aver vita, e Regno?
Lungi, lungi dal seno,
Vilipesa pietà; voi soli accoglio
Spirti di nobil'ira,
Sol morti, e stragi, e sol vendetta io voglio.
Ipermestra
Deh! Linceo . . . .
Linceo
Debbo adunque
Impunita lasciar tal fellonia,
Onde la mia clemenza
Sia poi cagion della tua morte, e mia?
Pur nel mezzo al bollore
Del mio giusto furore,
Vedi, se t'amo ancor, vedi se han forza
I tuoi pianti, e i sospir. Porta Delmiro,
Di nuovo i miei comandi alle mie squadre;
Nella vita del Padre
Si rispetti la Figlia: il bramo vinto,
Lo voglio prigionier, ma non estìnto.

L'ingrato punirò,
L'audace, se vedrò
Sprezzar superbo ancor
La regia mia pietà.
E intrepido saprò
Vantar tanto rigor
Quant'ei m'offenderà.

L'ingrato ecc.

Scena sesta

Ipermestra, e Delmiro.
Delmiro
De' cenni di Linceo
Esecutor fedele al campo, io volo,
E tu, frenando il duolo,
Della tua generosa Anima altera
Omai richiama i franchi sensi, e spera.

Se di Linceo, nel cor
Per te combatte Amor,
Spera, ch'ei vincerà.
Dopo il lungo duol,
Più dolce, che non suol,
La pace tornerà.

Se di, ecc.
Ipermestra
Miseri affetti miei, povero cuore,
In quale angustia siete, in qual penosa
Pugna v'han posto alfin Natura, e Amore,
Tenerezza di Figlia, e fè di sposa!
Oh Padre! oh sposo! oh Dio!
Troppo cari nemici,
Voi combattete, e il Campo
Della vostra battaglia è il petto mio:
Per me non v'è più scampo,
Chi di voi vincerà,
Il cuor dal duolo infranto
Per gli occhi mi trarrà disfatto in pianto!
Ahi! quanti voti al Cielo
Inviate in un tempo, e richiamate,
Or per lo sposo, ed or pel Genitore!
Miseri affetti miei, povero cuore!

All'alma smarrita
Conforto, ed aita
Chi porge, chi dà? . . . .

Scena settima

Argia, e detta.
Argia
Ipermestra pietà, pietà, pietà!
Ipermestra
Amata Argia, come nel campo?
Argia
Oh Dio!
Dall'amor, dal timore
Trasportato il cuor mio,
Insieme con le squadre
Del barbaro tuo Padre,
Sortita d'Argo, per la via del Parco,
Sola, e senza consiglio
Di Nicandro il periglio a te mi guida.
Ipermestra
Se giovarti poss'io, in me confida.
Argia
Porta, come tu sai,
Nicandro nel suo petto il cuor d'Argia.
Prega, esorta il tuo sposo
A rispettare in lui la vita mia,
Un destino amoroso
Ci strinse insieme, e seco egli si porta
Di me la miglior parte;
Se nel dubbioso marte
Resta estinto Nicandro, anch'io son morta.
Ipermestra
Tardi giungesti: o cara. Io già pel Padre
Sparsi suppliche, e pianto,
Ed all'Egizie squadre
Vietò Linceo sparger quel sangue, e tanto
Ottenuto per te forse averei,
Se due momenti prima
Giungevi, Amica Argia, a' piedi miei.
Ma qual di lieta Tromba,
(S'odono Trombe dentro.)
Odo fragor? Non voglia il Ciel, che questa
Vittoria sia per noi troppo funesta.

Scena ottava

Lìnceo con la spada nuda, e Soldati, e dette.
Linceo
Ho vinto, o sposa, ho vinto,
Ipermestra
Ferma, Linceo; quel sangue
Onde il tuo ferro è tinto,
E' sangue regio?
Linceo
Sì, trafitto, esangue
Per questa man . . . .
Ipermestra
Non più misera, oh Dio!
Queste son le promesse
Dì perdonar, spergiuro, al Padre mio?
Linceo
Non è di Danao, nò; questo che miri,
E' sangue di Nicandro.
Argia
Oimè, che senti,
Sventurato mio cuore! e vivi, e spiri?
Linceo
Argia, tu qui? consenti
Che a tua pietade io renda . . . .
Argia
Indietro, ingrato:
Leva dagli occhi miei quel crudo acciaro
Molle ancora d'un sangue a me si caro.
Linceo
Tu di Nicandro amante?
Ipermestra
Ah! si tradita
Hai colei, cui dobbiamo
Tu la sposa, io la vita.
Linceo
Ambe tergete il pianto;
Che sebbene accettai per mia difesa
La terribil contesa
Offerta da Nicandro, allorché tinto
Del suo sangue lo vidi, e che la pugna:
Pur proseguia, con generoso ardore,
Di sì nobil valore
Mosso a pietà, sol disarmarlo io volli,
Onde a miglior cimento
Serbi la sua costanza, e l'ardimento.
Argia
Respiro, e a un tempo istesso
Torna al volto il colore,
E vita, e speme al mesto cuore oppresso.
Ipermestra
Ma del Padre, che avvenne?

Scena nona

Delmiro, e detti.
Demiro
Cinto d'aspre ritorte
Insieme con Nicandro
A te guidan, Signor, l'Egizie squadre
D'Argo il tiranno, d'Ipermestra il Padre.
Ipermestra
Oh Cieli! e con qual volto
Potrò mirar tra le catene avvolto
Il caro Genitor?
Linceo
Col volto istesso,
Ond'ei potè già con asciutte ciglia
A crudel morte condannar la Figlia.
Sul tenor de' suoi detti,
O mansueti, o fieri
Tu pure apprendi a regolar gli affetti;
E mostra generosa
Un'anima costante, e un cuor di sposa.
Ipermestra
Ahi! che non è capace
Un sol cuor per dar luogo a guerra, e pace.
Argia
Ed a favor del mio Nicandro amato
Io che sperar potrò?
Linceo
Da un cuor, che è grato
Tutto sperar si debbe: arbitra Argia
Oggi sarà della vittoria mia.

Ben comprendo il rio tormento
D'un'Amante, e d'una Figlia.
La pietà, che per voi sento
Mi si legge in sulle ciglia.

Ben comprendo, ecc.

Scena decima

Danao, e Nicandro incatenati con Soldati, e Detti.
Ipermestra
Oh! come irato viene!
Già mi si gela il sangue entro alle vene.
Danao
Mirami, son quel d'esso;
Son Danao, sì, quel tuo crudele, antico,
Implacabil nemico,
Benchè abbattuto, e da catene oppresso.
Or via, che più si tarda? omai s'adempia
L'implacabile, ed empia
Legge dei fato: A che ti pende al fianco
L'inutil ferro? venga pure il crudo
Barbaro colpo, ecco il mio petto ignudo.
Sol versando il mio sangue,
Mi puoi sveller dal cuore
La radice immortal del mio furore.
Linceo
E tanta ancora fellonia si serba
Di tue ruine ad onta
In codest'oltraggiosa alma superba?
Cosi si frange, e spetra
Quel duro cuore all'ultime percosse
Dell'avverso destino, e con tai voci
Arroganti, e feroci
S'accusa il fallo, ed il perdon s'impetra?
Danao
Che fallo? che perdono? altro delitto
Non trovo in me, che l'aver data al giorno
Questa perfida figlia.
Ecco pure, ecco ingrata,
Ch'ebbe fine il mio Regno: Argo distrutta
Cader vedesti, e ancor vedrai, spietata
Del mio sangue fumar l'arene intorno.
Godi, perfida, godi
D'un folle amore l'esecrabil frutto,
E mira la mia morte a ciglio asciutto.
Ipermestra
E in si duro cimento
Di dolore non moro, e di spavento?
Nicandro
Fortuna, io ti perdono;
E lieto morirò, poiché potei
Una sol volta ancora
La luce riveder degli occhi miei.
Linceo
Non irritar, crudele,
Maggiormente il mio sdegno, onde nel seno
S'estngua, e venga meno
Quel poco di pietà, che ancor vi resta,
E può le tue ritorte
Romper, se pur lo vuoi,
E te salvar da disonore, e morte.
Danao
Troppo odiosa, e grave,
S'ella fosse tuo dono,
La vita mi saria: nò, non avrai
Il barbaro contento
Di veder prolungato il mio tormento,
Traendo in questo lito
Col ceppo al piede i giorni tristi, e neri
Vilipeso da' miei, da' tuoi schernito,
Senza onor, senza soglio:
Io non cerco pietà, la morte io voglio.
Linceo
Perfido, e morte avrai. Già t'abbandono
Al tuo ostinato impegno,
De' numi alla giustizia, ed al mio sdegno.
Abbian trascorso al fine
Io nell'esser clemente,
Tu nell'esser superbo ogni confine.
Ma l'uno, e l'altro eccesso
(Ben'io punir saprò) sù via si tragga
Lungi dagli occhi miei,
E dato in preda al suo rimorso istesso
Tra crudi strazi attenda,
Che il fatal colpo sovra lui discenda.
Danao
Usa la sorte tua. Ciò, che si chiede
A titol di mercede
Mai non reca timor: purch'io non veggia
La già perduta Reggia,
E l'odiato tuo volto, anche l'aspetto
Degli ultimi disastri,
Di gioia, e di contento empie il mio petto.

Nulla paventa, o teme
Un'alma senza speme,
E sà costante, e forte,
La morte
Minacciar.
Tra gli strazi, ed il rigore
D'un barbaro furore,
Saprò ben'io del fato
Spietato
Trionfar.

Nulla paventa, ecc.

Scena undicesima

Linceo, Ipermestra, Argia
Linceo
Di lui più non si parli; io non ascolto
Se non le voci della mia giust'ira,
Che il folle ardire, e stolto
Punito vuol, di chi sol'odio spira,
E clemenza non cura
Sull'orlo ancor dell'ultima sciagura.
Ipermestra
Sposo . . . .
Argia
Linceo . . . .
Ipermestra
Deh! volgi
Volgi uno sguardo solo,
Argia
Un sol pensiero,
Ipermestra
Ad Ipermestra,
Argia
Al tuo gran nome altero.
Linceo
Ad Ipermestra offesa,
Al mio nome oltraggiato?
Ipermestra
E non potrà della tua sposa il pianto
Ammollire il tuo petto?
Argia
Potrà toglierti il vanto
Di generoso un mal nutrito affetto
Di tua virtude, e di tua gloria indegno?
Linceo
Chi la pietà non vuol, provi lo sdegno?
Ipermestra
Dunque serbommi il fato
Al destin rigoroso
Di rimirare il Genitore estinto
Per mano, oh Dio? per man del proprio sposo?
LInceo
Dunque debbono inulti
Soffrire i vincitori scherni, ed insulti?
Non ti doler di me, che ad onta ancora
Della fede tradita,
E di mill'altre cosi acerbe offese,
Ti donai la sua vita.
Di lui ti dogli, che stancando il Cielo
Coll'enormi sue colpe,
Ostinato l'affretta
A farne per mia mano aspra vendetta.
Ipermestra
Come? non sei Linceo? quello,che tanto
Del crudo Genitore
Disapprovò il furore
Nella fraterna strage? ed io non sono
Quell'lpermestra ancor, sol per cui dono
Esente andasti dall'orribil colpo?
E un cuore hai cosi duro, un cuor si forte,
Che al Padre di colei, che ti diè vita,
Ingrato all'amor suo, serbi la morte?
Argia
Oh! mie vane speranze! oh mia inigegnosa,
Ma inutile pietà! deh! perchè mai
Dall'orror ti salvai
Di acerba morte! forse
Perche vedessi dell'ucciso Padre
Cader la testa al suolo,
E questo in premio solo
Dell'essere ìn amar troppo fedele?
Ahi mal gradito amor! sposo infedele!
Linceo
Ove giustizia regna,
Ove regna l'onore, entro del seno
Ogni legge, ogni amor cede, e vien meno;
Ipermestra
Ah Padre sventurato! ah figlia rea
Dei Parricidio! io sola, io sola fui,
Che per dar vita altrui
Cagionai la tua morte. Or giacche sono
La rea di un tal delitto,
Squarciami dunque il cuore
Già dal dolor trafitto;
E pria, ch'io veda cader Danao esangue,
La cagion dei suo fallo in me punisci,
E con ciglio seren versa il mio sangue.
Linceo
Non più, sposa, non più; questo mio cuore
Vinto da tua virtude
Non resiste ad amore,
Serba codesti preghi, e serba i pianti
Per espugnar del Genitore il petto,
Se pentito a me avanti,
Ed umile sen vien (l'ultima volta
E' questa, ch'io lo dico) io gli perdono.
Ma se sprezza il mio dono,
E qual mastin rabbioso
Morde la sua catena
Non servendo al voler della sua sorte,
Fa pur, che si disponga alla sua pena,
E la sua pena sia quella di morte.
Danao si riconduca:
(ad un Soldato.)
Io per la via delle abbattute mura
Alla Reggia men vado, ed ivi al fine
L'estrema inappellabile sentenza
Uscirà di rigore, o di clemenza.

Sù guerra portate
Di lagrime armate,
Pupille leggiadre,
E il cuore d'un Padre
Movete a pietà.
Al tenero assalto
Quell'alma di smalto,
Quel petto di scoglio
Deporre l'orgoglio
Ai fin si vedrà.

Su guerra, ecc.

Scena dodicesima

Ipermestra, Argia, poi Danao.
Ipermestra
Piangete, occhi piangete,
E di stemprarmi il cuore
In profittevol pianto,
Care lagrime mie, sia vostro il vanto.
Argia
Oh numi! ed è pur vero,
Ch'io debba oggi impiegar sospiri, e voti
A favor di colui, che già l'impero
S'usurpò del mio Regno?
Ma come negherei
I voti, e i sospir miei
Alla cara Ipermestra? a i gravi affanni
Del suo cuor si provveda
A costo ancora de' miei propri danni.
Danao
Deh! chi mi riconduce
Di nuovo a riveder, l'odiata luce?
Ipermestra
Padre, mio caro Padre: ecco a' tuoi piedi . . . .
Danao
Da me che vuoi, che chiedi
D'infausto Genitor più infausta figlia?
Qual muova crudeltade
A turbar ti consiglia
Coll'orribil tua vista il bel contento,
Che nel morire io sento!
Vuoi per maggior diletto
Colle tue mani istesse
Questo misero cuor trarmi dal petto?
Ipermestra
Io voglio solo, o Padre,
Sia pena, sia pietà, voglio. Ma come
Parlar poss'io, se nè pur volgi un sguardo
Sovra il mio volto, e fin di Padre il nome
T'agita, e ti commuove?
Danao
Intempestive prove
D'amor son queste, inutili argomenti
D' inutile pietà: potesti il Regno,
E la vita salvarmi, e l'uno, e l'altra
Donar volesti al mìo nemico indegno;
Ed ancor ti presenti,
Perfida, agli occhi miei!
Ipermestra
Sì, del mio fatto insano
A chieder vengo la dovuta pena
Dalla patema mano.
Uccidi quest'ingrata
Figlia, che ti tradì: colpa sì atroce
Non resti invendicata,
E per morir con gioia
Svena prima colei,
Che fu sola cagion, per cui tu muoia.
Argia
Ben'hà di selce il cuore,
Se à tal detti resise, e non si spezza.
Danao
Parti, fuggi da me: deh! a qual battaglia
Mi riserbaste, o Stelle!
Ipermestra
Ma nò, Padre t'intendo!
D'una figlia ribelle
Sdegni versare il sangue, e vuoi ch'io sia
Sola a punire la gran oolpa mia.
T'ubbidisco, e nel cuore . . . .
(Mentre vuol ferirsi, Danao la trattiene.)
Danao
Fermati, e qual furore
L'alma t'invasa? oh Dio!
Con chi parlo? ove son? mia figlia, addio.
Ipermestra
Non pensar di lasciarmì.
Danao
Non sono, oimè, cosi crudele, ed empio,
Ch'io possa rimirar si crudo scempio.
Ipermestra
Vivi tu dunque.
Danao
E questi
Sono affetti di figlia? e cuore avresti
Di vedermi avvilito
Privo del regio onor, servo, e mendico
Presso al Trono già mio, mostrato a dito
Dalla plebe insolente,
Quasi immortal trofeo
Del sempre a me nemico
Superbo vincitor, del tuo Linceo?
Argia
Forse del Regno d'Argo ora favelli?
E' mio Regno, tu il sai, ma perchè ad esso
In animo reale
L'amicizia prevale,
Per amor di tua figlia, a te concesso
In avvenire io voglio
L'usurpato finora inclito soglio
De' Regnatori Argivi:
Vanne, e regna, Signor, regna, ma vivi.
Ipermestra
Ed io, che del mio Sposo
Ai voleri dò legge, e sò qual chiude
Nobil cuore nel seno, e generoso,
Il suo amor ti prometto
Sol, che vogli pentito
Inchinarti al suo piè; stringerlo al petto.
Danao
Oh: Dio qual nella mente
Lume ignoto mi splende,
Che lei tutta rischiara, e l'alma accende!
Ah si, vincesti, o figlia,
Argia vincerti, ed or conosco appieno
Al paragon di si perfetto amore
L'altrui somma clemenza, ed il mio errore.
Ipermestra
Oh! mio pianto felice,
Sospir beati, avventurose pene,
Se raccoglier mi lice
Al fin da voi tal frutto.
Danao
Di più bei raggi adorno
Dopo notte d'orror piena, e di lutto
Così fa il Soie a noi spesso ritorno.
Ipermestra
Ma più non si ritardi
All'amato Linceo sì bel contento.
Danao
Io palpitar già sento
D'affanno, e di timore
Al nome di Linceo turbato il cuore.
Ahi! che a ragion dopo sì gravi oltraggi
Mi negherà il perdono.
Ipermestra
Lungi dall'alma del mio caro Sposo
Questo sì ingiurioso, e vil pensiero.
Troppo illustre virtude in lui s'annida.
Siegui pure i miei passi, e in me confida.
Argia
Discaccia il tuo timor,
Ipermestra
Consola il tuo dolor,
Danao
Oh Dio, perchè?
Ipermestra
Splendon propizie, e belle
Argia
Le Stelle
In Ciel per te.
Danao
Ah! forse la mia sorte
Placata, ancor non è.
Ipermestra
Nò, nò, non sospirar,
Argia
Nò, nò, non paventar,
Danao
Oh Dio! perche?
Ipermestra
Già di Linceo nel petto
Argia
Ricetto
Amor ti diè.
Danao
Pure al gioir le porte
Speme non apre in me.

Scena tredicesima

Sala Regia, da cui si vedono le mura della Città diroccate, con il Campamento di Linceo, che vien preceduto dalle sue Milizie, e da quelle di Danao incatenate.

Linceo.
Linceo
Oh! di fato perverso
Troppo acerbo rigor, che a noi mortali
Ogni piacer sia d'amarezza asperso!
Io trionfo, egli è vero,
Ed al paterno Regno
Aggiungo d'Argo il già temuto Impero;
Ma che prò, se qui intorno
Vedo aggirarsi lagrimose, e meste
L'ombre de' miei Germani,
E quasi a presagir nuove tempeste,
Parmi della mia Sposa
Ascoltar le querele, onde, anche ad onta
De' torti miei, la face
Spenga del mio furore.
E al superbo ostinato Genitore,
Al fine impetri, e sicurezza, e pace?
Cieli, date a' suoi prieghi
Contro quel duro sen vigore, e forza,
Talché vinto si pieghi,
Ed io senza viltade
Salvando la mia gloria, usi pietade.

Scena ultima

Tutti
Linceo
Occhi, non m'ingannate:
Danao con Ipermestra?
Ipermestra
Ecco, o mio Sposo
Coronate le mie, le tue speranze.
Leggi sù questo volto
L'alto contento nel mio seno accolto,
E nel mio caro Padre
Scorgi ad eterna gloria
Del pentimento suo, di tua clemenza,
Che la più illustre, e nobile vittoria
E' il superar ne' nostri cuori istessi
De' vari affetti lor gl'ingiusti eccessi.
Linceo
Io ti ringrazio, o Ciel: Dunque si vede
Per te, cara Ipermestra,
Trionfar la virtude,
Ove l'odio, e il furore ebber la fede.
Danao
Signore, eccoti avante
Sotto umano sembiante
Il più barbaro mostro, e più crudele,
Che chiudessero mai gli antri d'Averno.
Tanto poteo nel fiero petto mio,
Il malnato desio
Di conservare, ad onta ancor del Cielo
La mia vita, ed il Regno,
Che udii già un tempo minacciati in Delo.
Linceo
L'umana sapienza,
Che appresso ai Numi è sol vana follia,
Quanto più fuor di via torce il cammino
Più và incontro, infelice, al suo destino.
Danao
Tardi anch'io lo conosco, e sò, che reo
Di mille oltraggi, oltre il perduto Soglio,
Merito da Linceo
In pena del mio orgoglio
La più spietata morte; e pur non temo
Il pendono impetrar, che ben lo spera
Da un'estrema pietà delitto estremo.
LInceo
Se a te più della vita
Era già caro il Trono; ecco d'Apollo
Avverate le voci, ora, che sceso
Già sei dal Trono istesso;
Gli altri delitti poi
Solo punir vogl'io con quest'amplesso.
Nicandro
Generoso Linceo, se con inganno
Tentai di ricondurti
In poter del mio Re, se finsi teco
Tua Sposa infida, e di Cresfonte amante,
Ecco, che alle tue piante
Chieggio da te, Signore,
O supplizio, o perdono al grave errore.
Linceo
Non più, Nicandro: tua vitù m'è nota,
E m'è nota la legge
D'ubbidire fedele a chi ne regge.
E giacché per Argia
Gentil fiamma t'accende, e a te del Regno,
Se ben per altra via,
Danao serbava un dì l'onor; consegno
Di Stenelo la figlia a te consorte:
E a lei, cui pur si deve,
Siasi mercede, e sia giustizia, o dono
Consegno in un lo Sposo, e d'Argo il Trono.
Argia
Oh magnanimo cuore!
Nicandro
Oh virtù vera!
Delmiro
Nobil trofeo di chi a se stesso impera!
LInceo
Splenda di nuovo intanto
Più che mai chiara d'Imeneo la face,
Bandito il pianto, ed il comun cordoglio.
E tu, cara, nel sen dì bella pace
Vien d'Egitto a regnar meco sul Soglio.
Coro
Dopo i nembi, e le procelle
Il sereno appare al fin.
E nel Ciel talor le stelle
Pausto mostrano il seren.

Fine del Dramma.


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Ultimo aggiornamento 3 ottobre 2023