Arlecchino, oder Die Fenster, op. 50, KV 270

Capriccio teatrale in un atto

Testo del libretto (nota 1)

PROLOGO

ARLECCHINO
(parlato)
Nè per Dei nè fanciulli e quest'azione,
sol si rivolge al cuore che l'intende;
non ha bisogno d'una spiegazione
però che il meglio vi si sottintende.
I personaggi della tradizione
rivedrete con lor virtù e lor mende
in un vivace progredir di scene
all'antica tagliate e spesso amene.
Un uom tradito di sua sorte ignaro,
rivali in lotta per un bel visino,
un duello cruento ed un somaro
che salva poi baracca e burattino,
parole argute e qualche detto amaro,
l'astuzia e la baldanza d'Arlecchino:
del picciol mondo e qui dipinto il volto.
Voi mi direte se l'ho bene colto.
(Al direttore d'orchestra)
Maestro?...

PRIMO TEMPO

1. Introduzione, Scena e Canzonetta

(A Bergamo: Una strada tortuosa e montuosa nella parte alta della città. Più in fondo la strada si biforca a guisa di un Y. Al punto di biforcazione una piazzola. A sinistra sul davanti la casa di Ser Matteo, un poco più in sù, a destra, una porta con l'insegna d'un'osteria. Il tramonto illumina pittorescamente le finestre degli ultimi piani e i tetti. Davanti alla sua casa Matteo si è accomodato un tavolo trasportabile da lavoro. Sta cucendo un mantello; ha davanti a sè aperta la Divina Commedia, che legge ad alta voce per bene assaporarne i versi. Da una finestra, proprio sopra il suo capo, guardano furtivamente Arlecchino e la giovine e bella moglie di Ser Matteo. Questi legge gravemente, ma a poco a poco si rasserena, si entusiasma, prorompe in esclamazioni. Il suo modo di esprimersi contrasta col suo manifesto entusiasmo per un che di stanco e di querulo)

MATTEO
O versi divini che al cor scendete:
«Questo che mai da me non fia diviso»
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse.»
(s'interrompe)
V'intendo, v'intendo: simboli siete!
Lussuria, lussuria,
tu sei il vero Galeotto!
T'attende dannazione qui!
(picchia col dito sul libro. Alla finestra Arlecchino e la moglie di Matteo si baciano e ridono)
Leggendo questi versi
mi par d'udir
la melodia di un'opera...
Oh mio Mozart!
«La bocca mi baciò tutto tremante»
Dovrebber qui trillare i flauti,
sospirar le viole.
(È in estasi. Il lavoro gli cade di mano)

ARLECCHINO
(alla finestra)
Or come far?
La porta è chiusa
e il sarto tien la chiave.
Annodare è dolce cosa,
liberarsi cosa grave. Mio Dio!

MATTEO
(declama con entusiasmo)
«Questo che mai da me non fia diviso»
la bocca mi baciò tutto tremante.»

ARLECCHINO
(deciso)
Le donne giocano d'astuzia,
ma l'uomo ha la sua spada.
Addio!

MATTEO
Incalzan ora i bassi.
«Galeotto fu il libro»...
(Arlecchino è saltato giù dalla finestra in modo da trovarsi proprio davanti al sarto, al quale chiude il libro esclamando con sfrontatezza)

ARLECCHINO
«Quel giorno più non vi leggemmo avante.»
Basta per oggi, Ser Matteo.

MATTEO
Che c'è?
Donde venite? Cosa cercate?
Chi siete?

ARLECCHINO
Sappiate, Ser Matteo, mentre state mettendo
in musica la «Divina Commedia»,
il barbaro s'avvicina alle porte.
Fra poco è qui
e si prende le nostre donne.
In un baleno un di quei barbari
v'infilza sulla sua lancia.

MATTEO
(impaurito)
Mio Dio! Voi siete un barbaro?

ARLECCHINO
(estraendo la spada di legno)
Io sono l'arcangelo Gabriele e uccido il drago.
(afferra il sarto)

MATTEO
Cielo!

ARLECCHINO
Attento, orsù!
Io mi fingo il nemico.
Viva la Bibbia!
Abbasso la genia dei guelfi!
Or consegna il bel pugnale.
(Inforca le forbici del sarto alla propria cintura)
Attento, Ser Matteo.
Barbariche corna taurine
già vedo spuntarvi sul capo.
(Infila il mantello sulla spada di legno)
In alto l'insegna della fede!
(il sarto cade a terra; la chiave di casa gli esce di tasca)
Vittoria, le chiavi della città!
«E caddi come corpo morto cade»
Così finisce il canto.
Ed ora presto in casa.
Attento! I barbari...
Non udite?
Tap, tap, bum, bum,
sangue, peste e stupri.
C'è poco da scherzare.

MATTEO
Siete il diavolo?

ARLECCHINO
Via, io chiudo l'uscio.
Pel vostro bene non fate chiasso, entrate, orsù!
(Ha spinto in casa Matteo che trema di paura. Chiude dietro di lui la porta e intasca la chiave. Ora si avvolge nel mantello conquistato)
Vittoria! Bottino! Un prigioniero!
(Baldanzoso, passa a poco a poco con grazia dalla recitazione al canto)
Capricciosa sei, fortuna,
secondo il vento che spira.
Ma il soldato ti rincorre e aggioga.
(Si guarda intorno, e getta un bacio)
Già due occhi innamorati stan spiando.
Ritorno, cara, tosto a te.
La, la, la, la.
(Dietro la scena, allontanandosi. Matteo chiude le imposte. Per qualche attimo la scena resta vuota)

2. Duetto

(L'Abbate e il dottore entrano conversando)

ABBATE
Debbo ancora ringraziarvi...

DOTTORE
Ma vi pare, di che?

ABBATE
Che per vostra maestria
m'inviate tanta gente
anzi tempo al Creatore.

DOTTORE
Che intendete con ciò?

ABBATE
Sol che usate troppa fretta,
non date il tempo
per prepararsi al viaggio!

DOTTORE
(maligno)
Già, già.
Se del vostro mestiere
esperto foste
quant'io lo sono del mio,
ora sareste cardinale a Roma.
Invece la porpora
vi brilla soltanto in faccia:
tendenza a congestione.

ABBATE
Male assai
sono i beni partiti quaggiù.
Conobbi cardinali
degni invero d'esser curati da Voi.

DOTTORE
Vi trovo un po' sanguigno,
per giunta un po' collerico:
gravate assai lo stomaco!

ABBATE
Non vi ho chiesto un consulto.
Le vostre tinture,
le fiale, le goccie,
buon dottore,
certamente non valgono
un solo fiasco di Chianti
gustato sotto il cielo di Toscana.
Toscana!
Qual virtù, qual vigore infonde
quel vino portentoso.
Ride la terra,
canta un inno
la natura.
Mi par di rinascer più degno, più felice.
Credete a me:
in questo vino io sento
la presenza del Signore!

DOTTORE
Voi insegnate che dovunque è Iddio.

ABBATE
No, lo dicono i frati e le donnette
che Dio s'asconde anche in ogni rospo.
Che ci sarebbe in voi di divino?

DOTTORE
Frati e donne
son la vostra più nobile clientela.

ABBATE
(sottovoce)
Obliate i dottori...
Le donne poi...

DOTTORE
(brontolando)
Le donne, le donne...

ABBATE
Le donne abbelliscono la vita.

DOTTORE
Chi dice donna dice danno e malanno.

ABBATE
Son esse la nostra consolazione.

DOTTORE
Oibò!

ABBATE
(con serena bonarietà)
Proprio qui sta la bella
moglie di Ser Matteo.
Un giovin virgulto
cresciuto all'ombra,
ma che stende desioso
le sue rame al sol di primavera.

DOTTORE
Già, già!

ABBATE
(con voce mutata)
Guardate!

DOTTORE
Che cosa c'è?

ABBATE
Son chiuse tutte le imposte.
Qui c'e un mistero.
(chiama)
Ehi, Ser Matteo!

ABBATE, DOTTORE
Ser Matteo!
(Silenzio)
Siete morto?
Non è ancor notte.
Ser Matteo, olà,
in nome di Dio!

MATTEO
(apre cautamente mezza finestra)
Chi è? Monsignore?

ABBATE
Sì.

MATTEO
E voi, dottore?

DOTTORE
Sì.

MATTEO
Imprudenti, girate per la strada?

ABBATE
E che ci trovate di strano?

DOTTORE
Vorrei saperlo anch'io.

MATTEO
Non sapete che...

3. Terzetto

ABBATE, DOTTORE
Che cosa?

MATTEO
I barbari... i barbari circondan la città!

ABBATE, DOTTORE
I barbari?

MATTEO
Fra poche ore come valanga
piomberanno qua.

ABBATE, DOTTORE
Possibile? I barbari?

MATTEO
Sì, si, i barbari! I barbari, i barbari!

MATTEO
Han sul capo corna torte,
hanno il ghigno della morte
e si trovano alle porte.

ABBATE, DOTTORE
Alle porte?

MATTEO
La lor voce mette pena,
è il lamento d'una iena,
il lor sangue una cancrena.
Portan lutto e pestilenza,
sgozzano, squartano,
alle donne fan violenza.

ABBATE
(prorompendo)
Oh Rosina, Lucinda, Mariettina,
Agnese, Beatrice, Concettina,
Francesca, Vittorina,
povere figlie mie,
che mai di voi sarà!

DOTTORE
Convien pensarci!

MATTEO
Convien pensarci! Si, pensiamo.
(Sprofondano in meditazione. L'Abbate si scuote per primo e fa sobbalzare i compagni)

ABBATE
Dio misericorde,
Tu saprai proteggere le mie figliole care!
È dover dell'uomo per il ben degli altri
risparmiarsi!

MATTEO
Già!

ABBATE, DOTTORE
E mentre voi, Ser Matteo,
stendete il testamento...

MATTEO
Il testamento...?

ABBATE, DOTTORE
noi due ci recheremo
dal colendissimo borgomastro.

MATTEO
Vi recate dal borgomastro?

ABBATE, DOTTORE
Con nuove più certe ritorniamo qua,
poi si vedrà!

MATTEO
Va bene. Ritornate presto.
A casa me ne sto.

ABBATE
Coraggio, Ser Matteo!

DOTTORE
Dovreste prender un calmante.
Un buon salasso gioverà.

MATTEO
Uh! Perché mia moglie
ancor più si lamenti del mio debile sangue!
(chiude la finestra)

DOTTORE
(volgendosi, ridendo)
ah, ah, ah, ah,

ABBATE
(accennando la porta dell'osteria)
Che dite? Entriamo Solo un istante!

DOTTORE
V’accompagno.

ABBATE
Benone.
Diamo un esempio fecondo
di concordia perfetta alle discorde genti.

SECONDO TEMPO

4. Marcia e Scena

ARLECCHINO
Mi son fatto fare una seconda chiave.
Così da galantuomo restituisco la roba altrui.
«Suum cuique.»
Alla toppa la sua chiave.
(Batte alla porta con forza. Matteo sporge il capo, ma si ritira subito gridando)

MATTEO
I barbari!

ARLECCHINO
(in tono di comalido)
Ehi, dico!

MATTEO
(facendosi piccolo)
Desiderate?

ARLECCHINO
Sei tu Ser Matteo del Sarto,
ammogliato e fuori di servizio?

MATTEO
Ma...

ARLECCHINO
Sì o no?

MATTEO
In nome di Dio.

ARLECCHINO
Io sono il capitano incaricato del reclutamento.
Il tuo nome spicca sulla mia lista.
Ringrazia per l'onore!
Porta teco tutti i tuoi schioppi, cannoni,
spade, cavalli, muli o elefanti.
Ti do' tre minuti di tempo per mettere a posto
la tua roba. E non fiatare. Spicciati!

MATTEO
(fra sè)
«Ora incomincian le dolenti note.»
(Si ritira)

ARLECCHINO
(rivolgendosi ai birri, con violenza)
Scemi,
vo' farvi circolar il pigro sangue.
Tartarughe, putride locuste.
Attenti!
Ora, assalto all'osteria!
Via! .
(i birri corrono)
Alt!
(s'arrestano davanti l'osteria)
(fra sè)
Se vi lasciassi entrare, so bene
che non sarebbe cosa facil farvi uscire!
Beoni!
(forte)
Ora ritirata strategica! Dietro front!
(I birri marciano rapidamente verso Arlecchino)
Alt!
(fra sè)
I tre minuti son passati.

MATTEO
Non trovo la chiave della porta.

ARLECCHINO
La chiave?
Chiudendo, l'hai lasciata nella toppa esterna,
acchiappanuvole.
Fatti innanzi.
(Appare Ser Matteo in pittoresca divisa di guerra improvvisata)

MATTEO
Permettete che io porti meco il mio Dante?
(chiude con la porta)

ARLECCHINO
Non sarà detto mai
che un capitan
all'arte mosse guerra.
Segui questi intrepidi
dove ti guidano.
Io vigilo intanto la casa. Via!

MATTEO
(allontanandosi fra i birri)
«Per me si va nella città dolente,
per me si va fra la perduta gente.»
(scompare)

ARLECCHINO
Ed ora il resto.
Non bisogna mai fare le cose a metà.
Meglio non incominciare che interrompere.
(tenta di aprire)
La chiave è ancor nuova.
Chiave nuova e chiave arrugginita
lavoran male entrambe.
Ed ora...

TERZO TEMPO

5. Scena e Aria

(Colombina, Arlecchino)

COLOMBINA
(entra in scena)
Capitano, perdonate...

ARLECCHINO
(le volge le spalle. Con voce alterata)
Madama?
(fra sè)
Che tosto
il ciel mi fulmini
se questa non è
la voce di mia moglie.

COLOMBINA
Capitano, una donna tradita proteggete.

ARLECCHINO
(come sopra)
Madama, sarebbe vano.
Proteggetevi voi stessa.

COLOMBINA
Ascoltate...
(Arlecchino si volge improvvisamente. Colombina lo riconosce)
Ah, Sei ritornato,
avventuriero, infame, ingrato e menzognero.
Camuffato sei?
Qual nuova trama ordisci?
Dove sei stato ancora?
I giorni, le notti t'attendo in pianto.
(fra sè)
Sconvolta son certo.
(Estrae dalla borsetta lo specchietto e il piumino e ritocca in fretta la faccia)

ARLECCHINO
Sei ben graziosa

COLOMBINA
Taci!
Mi soppianti lì per lì
per qualunque femmina.
Ogni gonna fa per te.
Ma non basta ancora.
Tu fai continue beghe,
gabelli gente onesta,
semini liti ognor,
combini mille guai.
Sì, traditore, tu tradisci tutti
e più degli altri tradisci me.

ARLECCHINO
Madama, la fedeltà è la frattura della gamba
al primo passo,
l'ingiustizia a danno di terzi,
l'arco che scocca una sola freccia,
la nave che si ancora in un solo porto,
il sole che illumina un solo pianeta.
Io non sono un suo amico e lo dimostro
con le parole e coi fatti a chiunque,
e alla luce del giorno. Per questo mi sento
con la coscienza a posto e dormo
il mio sonno innocente come un bambino.
Dormiste bene, Madama?

COLOMBINA
Parlare odioso il tuo!

ARLECCHINO
Fiorito eloquio, è una dote
che purtroppo mi manca.

COLOMBINA
(mutando sapientemente di tono)
il tuo ingegno sottile,
la tua prestanza e intelligenza,
l'aspetto tuo virile
dalle donne invidiata sono.
Le sciocche!
A che ti servono?
O mio Arlecchino caro,
lo sai, di tutto core t’amerò,
se resti a me fedele.
(Arlecchino da segni d'impazienza)
Io ballo, suono il tamburello e canto,
so prepararti i piatti più squisiti,
(gli si stringe contro)
ti so curar, ed assestare la casa...
Arlecchino! Arlecchino!

ARLECCHINO
(fra sè)
Una disputa franca fra uomini, sta bene,
ma queste moine m'attediano.
(dissimulando, a voce alta)
Mia Colombina, vedi tu quella stella?
Fissala belle, fissala a lungo.
Anche se fosse una cometa funesta,
non saprei salvarmi più in fretta di così.
(Mentre Colombina fissa il cielo, Arlecchino scappa)

COLOMBINA
Sì, Arlecchino
(Si volge e rimane di stucco)
È scappato. Gli uomini... che vigliacchi!
Certo in questa casa egli voleva carpire
qualche colombella, il ladro.
Altrimenti, che se ne stava a far davanti all'uscio?
Voglio sapere...

(Bussa prima a colpi misurati, poi con violenza. Nessuno le risponde. Da una strada nascosta giunge intanto una svenevole voce di tenore e un suon di liuto. Colombina è rimasta dapprima indifferente, ma poi si fa attenta e arretra un poco, per uscire al momento buono nell'atteggiamento di chi si senta sopraffatto dalla commozione)

6. Duo / Trio

Romanza

VOCE
(interna)
Con il liuto, con la spada
va solingo il trovatore.
Gli rischiara la sua strada
il sorriso dell'amore.
Franco cuor, baldi pensieri
son le doti del cantor;
il doman somiglia al ieri
se fedel ei segue amor.

(Alle sue ultime parole il cavaliere Leandro entra in scena spavaldo e va verso Colombina. Non molto snello, nè giovane, con berretto piumato, lo spadino e il liuto, egli rappresenta il tipo del tenore d'opera di vecchio stampo)

LEANDRO
O Colombina,
per te dischiusi l'aurato forziere
dei miei sogni innamorati,
e per te il fonte artesiano del mio cuore
sprizza al cielo
e stilla poi dolcezza sulle aiole
del tuo florido giardino.
(prende un accordo)
O Colombina.

COLOMBINA
Vi burlate d'un infelice?

LEANDRO
Io? Burlarmi?

COLOMBINA
Me triste! Son tradita!

LEANDRO
Oh; tradita?
Ah, ah, ah, ah!
Quel traditore dovrà saggiar
della mia lama l'implacabil punta.
Ei muoia!

COLOMBINA
(ride)
Ah, ah, ah, ah!

LEANDRO
(sguaina la spada e intona melodrammaticamente)
Contro l'empio traditore
la vendetta compirò,
gioia mia, per il tuo amore
il malvagio ucciderò.

COLOMBINA
Guai a voi se l'oltraggiate,
l'amo e sempre l'amerò.
Sì, ci furono scenate,
ma la colpa è mia, lo so!

LEANDRO
Di quel sangue traditore
la mia spada arrosserò.
(Sorridendo fa un inchino al pubblico colla mano al cuore)
O Colombina,
già le labbra desiose
bruciar mi sento
d'un amoroso fuoco.
Io t'amo, sono ricco,
ti vo' protegger.

COLOMBINA
(misurandolo con occhio esperto)
Ah, potessi ancor
creder a un uomo.

LEANDRO
Avrai le gemelle
che portavano le mie ave,
sarai nobildama,
Donna Colombina!

COLOMBINA
Donna Colombina!

LEANDRO
Nell'antisala i servi,
e nelle scudieri i valletti
già pronti ad obbedir al vostro cenno.

COLOMBINA
Ma dite proprio il vero?

LEANDRO
Lo giuro
sulla tomba d'un'ava
che morì assassinata!
(inorridisce)

COLOMBINA
(che e rimasta del tutto indifferente, fra sè)
Se così potessi indispettir Arlecchino.

LEANDRO
Parlate!

COLOMBINA
Qual fretta!

LEANDRO
Parlate!

COLOMBINA
(gli dà la mano)
E se trovaste poi che sono
un po' incostante?

LEANDRO
Ah, mia gioia immensa!
Dunque voi consentite?
La mia speranza
s'inciela al fine.
Amor, squillin le note
del tuo trionfo.
Sospirate, melodie dell’ebbrezza profonda.
Venere in ciel serena...

COLOMBINA
(fra sè)
Mio Dio, che buffa scena.

LEANDRO
Il suo fulgor c'invia...

COLOMBINA
Ma ciò vi sembra proprio di buon gusto?

LEANDRO
O sì, di gusto eletto
e sopraffino.
Amor, fanciullo capriccioso,
ferisce sorridendo il cuor.

COLOMBINA
(ride)
Gaglioffa assai
diventa questa arietta...

LEANDRO
Ora vien la stretta
con il do finale.
Mai laudato a sufficienza
sei tu, Amore,
dio immortale.
Fan due cuori d'una ardenza
un incendio celestial.
(spezza in chiusa la nota acuta)

COLOMBINA
Che vecchiume
qual scemenza.
(ride)
Basta, non ne posso più.
(Arlecchino nel suo solito costume sotto il mantello nero, sta da qualche tempo osservando con l'occhialino la coppia. Ora s'avanza arditamente)

ARLECCHINO
Madama, mi accorgo che vi state educando
alla mia scuola.
I progressi dell'allieva sono l'orgoglio del maestro.
Mi congratulo con voi e con me.

LEANDRO
Chi osa portare la dissonanza
nell'amoroso accordo?

ARLECCHINO
Con te, mio nobile musicofilo,
mi sbrigo subito in due parole.
Voi, madama, attendetemi in quella locanda
dove mi permetterete d'accompagnarvi.
(Le offre il braccio e la conduce davanti all'osteria. Colombina entra e Arlecchino la lascia con un inchino)

(A Leandro)
Io sono il marito di quella... dama.
Fuori la spada!

LEANDRO
Siete un mio pari?

ARLECCHINO
Se rifiuti di batterti, ti batto io.

LEANDRO
Se non siete cavaliere, non dovrei.

ARLECCHINO
Potrei esser figlio d'un duca,
non si sa mai. In guardia
o t'infilo come un topo.

LEANDRO
Lo faccio per legittima difesa.

ARLECCHINO
(indicando il liuto)
La tua preziosa raganella
potrebbe venir danneggiata.
Levala.
(Leandro con nobile gesto getta il liuto lontano da sè)

ARLECCHINO
A noi!
(Al primo assalto Arlecchino fa cadere di mano la spada al cavaliere e lo colpisce. Il cavaliere cade come morto. Arlecchino grida con forza)
Aiuto!
(e fugge nella casa del sarto prima che sopraggiunga qualcuno)


QUARTO TEMPO

7. Scena, Quartetto e Melodramma

(Subito dopo escono dall'osteria l'abbate e il dottore, quest'ultimo visibilmente alticcio, poi Colombina. Il crepuscolo è sul finire)

DOTTORE
(incerto)
È già buio fitto.
Bevendo abbiamo tardato assai!

ABBATE
La luna c'e? No!
Meglio così.
La lampada del cielo
illumina spesso
le azioni malvagie dell'uomo.
(al dottore)
Procurate una lanterna.

COLOMBINA
Poc'anzi mi sembrò d'udir
chiamare aiuto ed io temo...

ABBATE
Temer non e d'uopo, se prima
il mal non sia palese.
Se io temessi d'essere un po' brillo
farei torto, per vero, a me stesso.

DOTTORE
(con la lanterna)
S'annuncia un cataclisma,
la terra oscilla.
Date il braccio,
così vedrò già meglio.

ABBATE
Il naviglio abbandona il porto,
io sono il lume di prua,
e la graziosa damina
sarà la stella mattutina.
(si mettono in moto)

DOTTORE
Andiamo dal borgomastro.
Già! I barbari!...
Nel vino han messo un tossico, per questo...

ABBATE
Fermi, uno scoglio. Virate!

DOTTORE
(incespica contro il corpo di Leandro e gli cade sopra. Si rialza faticosamente)
Quest'uomo è morto.
(Colombina dà un grido e si getta sul corpo di Leandro che non dà segno di vita. Tutte le finestre, fuorché quella di Ser Matteo, vanno illuminandosi e popolandosi di teste curiose)

ABBATE
La morte è un gran mistero.

DOTTORE
Non so spiegarmi questo caso.
(si guardano l'un l'altro imbarazzati)

DOTTORE, ABBATE
Or che fare? Chiamar gente?
Intricato è questo affare!
Pronto agir e mente chiara
qui sol possono giovar.

DOTTORE
Qui c'è il prete!

ABBATE
Qui il dottore!

DOTTORE, ABBATE
(insieme)
Tutto è vano, tardi è già!

COLOMBINA
(pienamente padrona di sè)
Non è morto quest'uomo!

DOTTORE
(scimmiottando)
Non è morto quest'uomo!
È morto, sì.

COLOMBINA
Non credo.

DOTTORE
Più che morto.

COLOMBINA
No!

DOTTORE
Arcimorto!

COLOMBINA
No!

DOTTORE
Ecco: «mors fulminans»!

ABBATE
Apoplessia.
(che intanto ha esaminato il finto morto)
Risurrezione.
Lodato sia il Signore!

COLOMBINA
Lo dicevo io!

DOTTORE
Non lo so spiegare.
Il diavolo è qui in gioco.

ABBATE
Orsù portate il cavalier risorto
nella casa del nostro sarto.
Ser Matteo, Ser Matteo.
Tutto tace.
(fra sè)
Perché nessun risponde?
(bussa a un uscio di fronte)
Amico, ascoltatemi!
Qui giace un ferito.
(La finestra sovrastante si chiude e un'ombra si ritira)
Ohimè!
(bussa a un altro uscio)
Padron, di grazia, aprite!
(ottiene lo stesso risultato. Fa il giro di tutte le case, ma sempre gli si chiudono le finestre e le persone spariscono con sacro sdegno)
Decisamente l'uomo
propende ad occultare
la sua innata bontà.
Ma in suo difetto
v'è la provvidenza.
Ed ecco, ch'essa arriva
in forma d'un asino.
(A una svolta comparisce un asino che traina una carretta; a fianco un carrettiere)
Ci volete aiutar, buon uomo?
Dio è con voi.
E qui uno scudo. Ora udite:

Quartetto

ABBATE
Asinus providentialis,
tu sei la nostra buona stella.
Or riporta il cavaliere
all'amor della sua bella.

LEANDRO
Già morii, ma or son vivo,
ché fedele ella è rimasta,
son di spada e liuto privo,
ma il suo amore sol mi basta.

DOTTORE
Fede è il premio d'innocenza,
illusion dei sensi è amore.
Più profonda, più verace
è la scienza del dottore.

COLOMBINA
L'uom sia egli prode o vile,
è pur sempre un gran furfante.
Ma se l'uno m'ha tradita,
vo' beffar quest'altro amante.

TUTTI
Amen.
(Il carrettiere, aiutato dall'Abbate, adagia il cavaliere sulla carretta, dove prendono posto anche gli altri, il dottore, con il liuto a tracolla e la lanterna, L'Abbate con le mani giunte e Colombina, premurosa accanto al cavaliere)


DOTTORE
(con tono dottorale)
Al lazzaretto.
(La carretta parte)

ARLECCHINO
(dall'abbaino della casa di Ser Matteo)
Buon viaggio, felici nozze e figli maschi!
(si sporge innanzi)
Spero che non dimenticherete d'invitarmi a nozze.
(sale sul tetto)
Splendi, mia stella!
(allarga le braccia come per abbracciare il mondo)
Il mondo è mio,
è giovine la terra,
l'amore è libero.
(Con gran disprezzo)
Voi arlecchini!
(Scivola giù agilmente per la grondaia, apre la porta, dà il braccio alla bella che lo attendeva all'interno e si allontana in fretta con lei)

8. Monologo

MATTEO
(entra in scena visibilmente disfatto)
Ora non so proprio più che dire.
Mi sembra di errar nella dantesca selva.
Fortuna che ho in casa il capitano
che mi vuol bene.
Gli altri due se ne sono andati.
Dove? Lo sa Iddio!
Questa Bergamo è vasta assai!
(È giunto alla sua porta e si guarda intorno nella strada deserta e tranquilla)
Ho l'impressione che la pace sia tornata.
(Sospira, entra in casa, appare subito dopo ad una finestra con una lucerna ad olio in una mano e un biglietto nell'altra. Legge)
«Mi sono recata a udire i vespri.
Ritornerò appena potrò.
La tua Annunziata.»
Ora non capisco proprio niente... niente!
(Umilmente rassegnato)
Vo' aspettare qui giù il suo ritorno.
(si ritira dalla finestra; poco dopo riappare all'uscio con la lucerna, gli arnesi da sarto e il suo Dante e si accomoda presso il suo tavolo trasportabile da lavoro. S'è levata la luna)
Io non capisco... non capisco!
(sfogliando il libro)
A Galeotto m'ero pria fermato.
Molto non può tardare...
È il quinto canto. Qui:
«Galeotto fu il libro e chi lo scrisse.»
(Scende lento un tendalino)
Processione e Danza
(Due trombettieri nella tradizionale livrea da teatro si appostano a destra e a sinistra del tendalino, danno fiato alle trombe e si ritirano. Il cavaliere Leandro e Colombina attraversano la scena, innanzi alla buca del rammentatore si fermano per fare un inchino al pubblico e si ritirano. Seguono allo stesso modo il dottore accompagnato dall'abbate, la carretta con l'asino che fa pure un inchino, i due birri e infine Arlecchino che dà il braccio ad Annunziata. Arlecchino si arresta nel mezzo della scena, si toglie la maschera e dice)

ARLECCHINO
Signori e Signore, ho il grande piacere
di presentarvi la mia nuova sposa
che finora come moglie del sarto
non aveva certo il modo
di spiegare innanzi a voi i suoi fascini.
Ammiratela ora in tutta la sua bellezza.
Ella si sente molto onorata
di poter inchinarsi davanti
a questo spettabile e colto pubblico.
(Annunziata si inchina)
La sposa di prima mano ora ha contratto
a dovuta distanza una nuova unione.
Essa appartiene alla nobiltà più eletta
e tale rimarrà fino
a nuovi avvenimenti.

Ed ora lascio alle signore di stillarne la morale.
Ma che dico? Nuovi avvenimenti?
Non si ripete tutto nel giro eterno
ed immutabile della vita?
Chi vince? Chi soccombe?
Chi sa farsi valere alla fine?
Solo colui che con le proprie forze,
seguendo i suggerimenti del cuore
e con vigile mente sceglie la via diritta;
chi si accontenta di restare fedele a sè stesso;
chi anche in vesti rattoppate serba la sua interezza
e non si inchina a nessuno,
come ho potuto farne esperienza io stesso.

Lascio ora agli uomini di estrarne
la radice verità,
e specialmente ai critici,
miei giudici benevoli.

Signore e Signori, buona notte!

(Arlecchino recinge alla vita Annunziata; insieme a lei svolge una breve danza vivace, slanciando in aria braccia e gambe. Ballando s'allontanano in fretta)

(Quando, dopo l'applauso, si rialza il sipario, si vede Ser Matteo presso alla lucerna, che cuce, legge, attende)
(1) Testo tratto dal sito rodoni.ch

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Ultimo aggiornamento 25 agosto 2013