Polacca in la bemolle maggiore per pianoforte, op. 53 "Eroica"


Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
Organico: pianoforte
Composizione: 1842
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1843
Dedica: Auguste Léo
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Per i contenuti della sua produzione e per i tratti salienti della sua biografia - l'esilio dalla patria oppressa, l'esistenza minata dalla tisi e la morte in giovane età - al momento della scomparsa Chopin era già considerato il compositore romantico per eccellenza. Nella seconda metà dell'Ottocento questa immagine si è andata distorcendo sempre più, mentre un esercito di signorine di buona famiglia si sdilinquiva sulla sua musica che anche i più grandi concertisti eseguivano in modo affettato; e anche se nel corso del Novecento si è assistito a una graduale e faticosa inversione di tendenza che ha portato gli interpreti e la critica a iniziare a metterne finalmente a fuoco l'immagine in tutta la sua grandezza, troppi e troppo grandi e difficili da scalzare sono stati gli equivoci e i fraintendimenti su di lui: Chopin poeta delle piccole forme perché refrattario, in quanto "romantico", all'asservimento a qualsivoglia schema formale, quando non addirittura perché incapace di padroneggiare strutture più complesse; Chopin delicato ed efebico "autore dei Notturni"; Chopin appassionato cantore della tragedia della Polonia oppressa nelle Polacche...

Le Polacche, così come le Mazurke e i Notturni, accompagnano Chopin per tutta la vita: dalla Polacca m sol minore composta a sette anni nel 1817 alla Polacca-Fantasia in la bemolle maggiore del 1846. Nonostante ciò che si potrebbe comunemente pensare partendo dal nome, la Polacca rappresenta assai meno l'autentico folklore polacco rispetto alla Mazurka, incarnando se mai l'immagine ideale che della musica polacca si aveva al di fuori della Polonia. Infatti, nata in Polonia in ambito popolare come danza lenta e grave di carattere processionale, a partire dal primo Settecento la Polacca si diffuse rapidamente in tutta Europa stilizzandosi in una forma in tempo ternario basata su un tipico ritmo: croma-due semicrome-quattro crome. Alla Polacca si era aggiunto nel frattempo un Minuetto, trasformatosi poi in Trio seguito, a partire dalla fine del Settecento, dalla ripresa della Polacca, dando vita così alla tipica struttura tripartita Polacca-Trio-Polacca (che poteva essere preceduta da un'introduzione e seguita da una coda).

Con l'inizio dell'Ottocento si assiste a una nuova, duplice evoluzione: ormai completamente autonoma dal ballo, la Polacca da una parte assume un andamento più vivace, un tono più maestoso e si arricchisce di elementi virtuosistici e salottieri e grazie a personaggi come Weber, Hummel e il polacco Karol Lipiriski, si trasforma nella "Polacca brillante"; dall'altra, soprattutto nelle mani del polacco Michal Oginski, rimane più vicina al modello originario assumendo toni più intimistici, malinconici e tristi. Naturalmente Chopin fece tesoro di entrambe queste esperienze, dosandole di volta in volta in modo diverso; intervenendo su questo bagaglio con il suo sommo genio portò ancora una volta un genere, come anche nel caso del Notturno e della Mazurka, a livelli di perfezione mai raggiunti prima, né più mai superati da altri dopo.

I contemporanei comunque, per uno di quegli equivoci e fraintendimenti cui si faceva cenno all'inizio, videro nelle Polacche di Chopin - e in particolare in pagine come l'op. 40 n. 1, detta "Militare" e, soprattutto, proprio nella celeberrima op. 53, detta "Eroica" (e i due epiteti, certo non di mano di Chopin, la dicono assai lunga in proposito) - solamente l'aspetto irredentista, politico, guerresco. Valga, per tutti, l'esempio di Liszt, secondo il quale «le Polacche di Chopin, di volta in volta tragiche, cupe o luminose, danno voce alla resistenza disperata di un popolo minacciato e aggredito». E non è un caso se perfino un genio musicale come Liszt non riuscì a comprendere la Polacca-Fantasia, uno dei massimi capolavori chopiniani non potendo farla rientrare in questa "sua" idea di Polacca: non trovandovi «traccia alcuna di visioni ardite e luminose», la giustificò come l'opera poco felice di un uomo morente, fatta di «pitture poco favorevoli all'arte, come quelle di ogni momento estremo, di ogni agonia».

La Polacca in la bemolle maggiore op. 53 detta "Eroica" - che per molti è e rimane la Polacca di Chopin, quasi non ne avesse scritte altre o, addirittura, quasi non avesse scritto altro - in effetti è uno di quei brani che soffrono di eccessiva popolarità, divenuta ormai una specie di "sigla" banalizzata e banalizzante di Chopin che ritroviamo in mille contesti diversi (film, cartoni animati, pubblicità, mi torna in mente perfino una vecchia canzone del 1962 di Gilbert Bécaud, Le pianiste de Varsavie) e che anche in ambito classico troppe e troppe volte abbiamo ascoltato, e purtroppo continuiamo ad ascoltare, suonata in modo troppo superficiale ed effettistico, così lontano dal nobilissimo e profondo universo poetico di Chopin.

Composta nel 1842 e pubblicata a Lipsia e a Parigi nel 1843 da Schlesinger e poi nel 1845 a Londra con dedica al banchiere francese Auguste Léo, rappresenta il penultimo lavoro chopiniano del genere, seguendo di un anno la Polacca in fa diesis minore op. 44, pagina fortemente sperimentale a livello formale (al punto che Chopin, da quel musicista dotato di un così «eccelso senso della forma» che era - secondo la felicissima definizione di Nietzsche - parlandone nelle sue lettere, quasi fatica a riconoscerla come Polacca e la definisce «una sorta di Polacca che è piuttosto una Fantasia» o «una specie di Fantasia in forma di Polacca») e precedendo di quattro anni la sublime ed estrema Polacca in la bemolle maggiore op. 61, ardita e visionaria al punto da venir finalmente fregiata da Chopin di quel titolo di Polonaise-Fantaisie già "rischiato" dall'op. 44.

In effetti il confronto con questi due lavori è illuminante già a livello quantitativo: 325 battute e 10/11 minuti di durata per l'op. 44; 288 battute e 12/14 minuti di durata per l'op. 61. Fra queste due opere monstre l'op. 53 spicca con le sue sole 181 battute e una durata di appena 6/7 minuti. Grande stringatezza, quindi, ma anche grande regolarità e senso delle proporzioni formali: 16 battute di introduzione, 16 battute la parte A, che si ripete, 16 battute la parte B, quindi si ripetono nuovamente le 16 battute di A... Con un materiale tematico che, per di più, sembra scolpito nel marmo e che, con i suoi continui, incisivi ed esaltanti ritorni, davvero si scolpisce indissolubilmente nella nostra mente. Eppure quanta fantasia, quante invenzioni (il sorprendente e trascinante Trio, il poeticissimo e "splenetico" episodio di transizione che dal Trio riconduce verso la ripresa della Polacca), quante sorprese a livello armonico (basterebbe il Trio in mi maggiore (!), tonalità lontana anni luce, con i suoi quattro diesis in chiave, dai quattro bemolle del la bemolle della Polacca...).

Qualche considerazione conclusiva in merito all'immagine che ci è stata tramandata di questo brano e alle sue possibili interpretazioni. È comprensibile che ci si possa far prendere dalla lettura in chiave "eroica", enfatizzandone i toni guerrieri e militareschi accentuando la parte virtuoslstica e spettacolare, massime nel famigerato Trio, con il suo ostinato di ottave discendenti in quartine di semicrome condannato da molti pianisti a uno sfoggio di grandi velocità, sonorità e virtuosismi di sicura efficacia ma di non altrettanta fedeltà all'originale. Comprensibile, ma certo non giustificabile se ci si ricorda dell'indicazione agogica apposta da Chopin alla Polacca (Maestoso e il Trio non prevede alcun cambiamento di tempo), della testimonianza di Charles Halle, pianista amico di Chopin che racconta di averlo visto un giorno estremamente triste per aver ascoltato questa Polacca «suonata velocemente, con ciò distruggendo tutta la grandezza e la maestosità che ne sono la caratteristica fondamentale» (ed è notevole che, secondo il racconto di Halle, Chopin non avrebbe detto «troppo velocemente», ma solo «velocemente»), o anche della testimonianza di Adolph Gutmann, un allievo assai amato da Chopin, che ricordava come il suo grande maestro, a differenza di molti, nel Trio non facesse un grande strepito e iniziasse le ottave in pianissimo (come del resto sono prescritte, con in più l'aggiunta sotto voce al tema della mano destra) senza poi aumentarne esageratamente la sonorità.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 2 (nota 1)

Con la famosa Polacca in la bemolle op. 53, del 1842, ritorna l'incandescente ispirazione epica in una straordinaria virtuosità di scrittura dì una nettezza di contorni e razionale necessità quasi beethoveniane. La "classicità" di Chopin, il suo superbo senso della costruzione musicale e la sua creatività formale riassumibili nell'assioma mozartiano "non una nota di troppo", imprimono i segni di capolavoro a quest'opera che idealmente, se non cronologicamene, sembra concludere la parabola delle Polacche chopiniane.

Giovanni Carli Ballola


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 3 giugno 2009
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 aprile 1981


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Ultimo aggiornamento 2 luglio 2016