Con questa breve operina comica (dura appena venticinque minuti), scritta tra il 1954 e il '55, Malipiero torna all'amato tema delle maschere e ai soggetti tratti dall'antica letteratura italiana, pur senza tralasciare l'esperienza ballettistica (El mondo novo, da cui proviene il secondo quadro, tratto dal francese de Fatouville). Alla 'prima', insieme alla discussa Luna ai Caraibi di Adriano Lualdi e al Signor Bruschino di Rossini, Il capitan Spavento ebbe successo: si riconobbe che il soggetto tratto da Ruzante (primo quadro) e da situazioni della commedia dell'arte (nel terzo) era particolarmente adatto al «linguaggio di Malipiero, asciutto, stringato, incolore e pur scabro e pungente». Un successo addirittura entusiastico è descritto da D'Amico per la ripresa a Treviso del 1969: Il capitan Spavento e Il marescalco (in 'prima' assoluta) sono indicati come «i più degni di affiancarsi ai capolavori del periodo precedente».
Anche se annovera delle parti in stile recitativo, alcuni monologhi del capitano (con ampi intervalli arpeggiati e balzi esagerati come le sue sbruffonate) e dei frammenti lirici ma ironici della Gitta, l'operina si basa soprattutto sul tessuto orchestrale e sugli episodi mimici, in specie nel terzo quadro. La strumentazione è essenziale (come nel secondo quadro, accompagnato quasi interamente dalle sole percussioni), ma la scrittura è di notevole efficacia nei brevi episodi giustapposti: la marcia iniziale (tratta anch'essa da El mondo novo), in cui si enuncia il motivetto caratteristico di capitan Spavento; i due intermezzi tra i quadri (di essi, il primo quasi riassume quanto precede), la pantomima dei giudici (con accompagnamento dissonante del trombone con sordina) e le brevi danze dell'ultimo quadro. L'opera si conclude con la ripresa di un monologo del capitano che si era già sentito nel primo quadro, a dimostrazione di «come egli sia uscito dalla sua esperienza sì illeso, ma niente affatto più savio» (Waterhouse).