L'Arianna, SV 291

Tragedia in un prologo e otto scene

Musica: Claudio Monteverdi (1567 - 1643)
Testo: Ottavio Rinuccini

Ruoli: Organico: sconosciuto
Prima rappresentazione: Mantova, palazzo Ducale, 28 maggio 1608
Edizione: Aurelio e Lodovico Osanna, Mantova, 1608 (solo il libretto)

La musica è perduta, resta solo il Lamento di Arianna, SV 107
Guida all'ascolto (nota 1)

Alcuni mesi dopo la tanto acclamata rappresentazione della Favola d’Orfeo, a Monteverdi, «maestro della musica del Ser.mo Sig.r Duca di Mantova», venne affidato l’incarico di musicare Arianna per i festeggiamenti delle nozze del figlio di Vincenzo Gonzaga, Francesco, con Margherita di Savoia. La nuova opera doveva essere composta nello stile della monodia accompagnata, che a Firenze stava producendo i primi frutti (nel 1600, in occasione delle nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia, era stata rappresentata l’Euridice di Jacopo Peri su testo di Ottavio Rinuccini, alla presenza del duca di Mantova e, forse, dello stesso Monteverdi); la stesura del libretto venne quindi commissionata a Rinuccini, appositamente giunto da Firenze, e di provenienza fiorentina furono anche numerosi cantanti invitati a Mantova per l’occasione. La partitura è da considerarsi perduta; resta soltanto il celebre Lamento d’Arianna, momento centrale della sesta scena dell’opera, pubblicato da Monteverdi quindici anni dopo in una versione per soprano e basso continuo. Dello stesso frammento esiste una versione polifonica a cinque voci, pubblicata nel Sesto libro de’ madrigali (1614); un travestimento spirituale per voce sola e basso continuo, con testo in latino, apparve come Pianto della Madonna nella raccolta Selva morale e spirituale (1641).

L’opera si apriva con un prologo di Apollo che, elogiati gli sposi cui erano dedicati i festeggiamenti, introduceva l’argomento, successivamente riassunto da Venere e da Cupido. Nell’impianto drammaturgico del libretto gli eventi sono in parte rappresentati, in parte narrati davanti all’unico apparato scenico raffigurante «un alpestre scoglio in mezzo all’onde», dietro al quale vennero collocati gli strumentisti. Vinto il Minotauro, Teseo e Arianna giungono all’isola di Nasso, accolti festosamente da un coro di pescatori. Un consigliere suggerisce a Teseo di partire per Atene da solo, abbandonando sull’isola Arianna che sta dormendo. Il coro annuncia il sorgere del sole; Arianna entra in scena con la confidente Dorilla e, non vedendo Teseo, si reca verso la spiaggia. Un messaggero descrive la partenza di Teseo e il pianto di Arianna che, disperata, giunge subito dopo intonando il Lamento, momento culminante dell’opera: nella versione originale, alle quattro sezioni del testo, delimitate da brevi commenti del coro di pescatori, seguivano altre cinque sezioni in cui Dorilla, dapprima compartecipe al dolore di Arianna, tentava di scuoterla dal suo torpore vedendo l’avvicinarsi di alcune navi. Tirsi annuncia che non Teseo, ma Bacco sta giungendo per corteggiare Arianna. Cupido fa scoccare l’amore tra Arianna e Bacco; tra danze e cori esultanti, Venere sorge dal mare per celebrare le nozze, mentre dal cielo Giove invita gli sposi a prendere posto tra le stelle.

Il Lamento rappresenta uno dei più alti esempi di declamato arioso monteverdiano. Il recitar cantando, cioè la parola intonata sul ritmo asimmetrico dell’accentuazione sillabica, teorizzato nell’ambito della Camerata fiorentina (di cui lo stesso Rinuccini faceva parte, insieme a musicisti come Vincenzo Galilei, Jacopo Peri, Giulio Caccini), perde con Monteverdi la rigidità dell’esercizio accademico per calarsi nel profondo della psicologia del personaggio. Arianna dà voce a un lungo monologo, in cui si intrecciano i sentimenti più contrastanti: lo scoramento («Lasciatemi morire»), l’inquietudine («O Teseo, o Teseo mio, se tu sapessi oh Dio, se tu sapessi ohimè come s’affanna la povera Arianna»), la solitudine («Et io più non vedrovvi o Madre, o Padre mio»), la fedeltà tradita («Dove, dov’è la fede che tanto mi giuravi?»), la collera («O nembi, o turbi, o venti, sommergetelo voi dentro a quell’onde!») ma, soprattutto, l’amore struggente e la passione non ancora sopita. La linea melodica, che tende ad allontanarsi dalla monotonia della corda di recita; il ritmo del testo, reso ancora più asimmetrico e articolato da spostamenti dell’accentuazione, da significative pause e da contrastanti figurazioni, lente o veloci; le tensioni armoniche e l’urto delle dissonanze sono solo alcuni dei mezzi che il compositore adotta per dare rilievo, attraverso la musica, alla connotazione espressiva della parola, al gesto drammatico. La vocalità del Lamento non è caratterizzata dalla bellezza del canto, ma dall’espressività della recitazione, secondo un concetto di verità e di aderenza al personaggio («il moderno Compositore fabrica sopra li fondamenti della verità»: prefazione al Quinto libro de’ madrigali, 1605). Non è forse casuale, quindi, che il ruolo di Arianna inizialmente destinato alla giovanissima Caterina Martinelli – tragicamente scomparsa poco prima della rappresentazione – sia stato poi affidato a un’attrice, Virginia Andreini, benché a corte non mancassero sicuramente cantanti in grado di sostenerlo. L’espressività toccante di questa pagina suscitò viva impressione negli ascoltatori fin dalla sua prima esecuzione, e fornì il modello per il sentimento del dolore e dell’abbandono che, nel corso del XVII secolo, si cristallizzò spesso nella forma del ‘lamento’: un brano chiuso costruito a volte sul basso ostinato di un tetracordo discendente.

Marina Vaccarini


(1) "Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze


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Ultimo aggiornamento 22 aprile 2020