Se pur destina e vole (Partenza amorosa), SV 142

a voce sola in genere rappresentativo e si canta senza battuta

Musica: Claudio Monteverdi (1567 - 1643)
Testo: forse Ottavio Rinuccini

Organico: tenore, basso continuo
Edizione: in Settimo Libro de Madrigali, Bartolomeo Magni, Venezia, 1619
Dedica: Caterina de' Medici, duchessa di Mantova e Monferrato
Testo

Se pur destina e vuole il cielo,
almo mio sole,
che in tenebre mi viva,
ascolta alma mia diva,
ciò che potrà ridire
fra cotanto martire
di sconsolato amante
lingua fredda e tremante.
O del cor luce e speme,
odi le voci estreme:
odile e dal bel seno
una lagrima almeno
bagni la viva neve.
Rimira ah, come lieve
per l'eterno cammino
s'affretta, e già vicino
splende l'infausto giorno
che dal bel ciglio adorno
mi condurrà lontano.
Deh con più lenta mano
sferza i destrieri ardenti,
Febo, se a' tuoi lamenti
trecce dorate e bionde
tornin l'amate fronde.
O pensier vani e fillo!
Che spero, ohimé, che volli
già dibattendo l'ale
giunge l'ora fatale
dell'aspra dipartita,
vita de la mia vita!
A te non dico addio
ché se l'alma e'l cor mio,
se lascio ogni mio bene
e con cara speme
resta ogni bel desìo,
a me vò dire addio:
a me, che triste e solo,
preda d'immortal duolo,
da me medesimo, lasso,
volgo partendo il passo.
Lumi, voi che vedeste
della beltà celeste,
allor ch'arsi e gelai,
splender sì vaghi i rai,
a voi, tremante e muto,
a voi dimando aiuto;
ridite, occhi, ridite
con lagrime infinite,
ridite innanzi a lei
gli affanni acerbi e rei,
ch'io non saprei ridire
di contanto martire
neppur minima parte:
solo dirò che parte
il più leale amante
che mai fermasse piante
nell'amoroso regno;
che di laccio il più degno
incatenato visse
di quanti unqua si ordisse
Amor per altra etade;
che per casta beltade
temprò sì bei lamenti
che'l mar, la terra e i venti
ne sospiraro, e'l cielo
di lagrimoso velo,
pietoso a' suoi sospiri,
sparse gli almi zaffiri;
e potrei dir ancora
ch'unqua non vide aurora
specchiarsi in mar sì bella
né l'amorosa stella
se non oscura e vile,
dopo l'ardor gentile
delle stellanti ciglia,
immollai meraviglia
in cui mirando, avolo
varco le nubi e il polo.
Ma deh, luci serene,
de le mie care pene
dolcissimo conforto,
chi scorgerammi in porto
per questo mar insano,
se da voi m'allontano?
Ahi che mia stanca nave
rimiro, e'l cor ne pave,
fra turbini e tempeste,
e del lume celeste
invan sospiro i rai,
stelle che tanto amai!
Ma qual timor mi punge?
Ove n'andrò si lunge
ch'io perda il dolce lume?
Qual monte mai, qual fiume,
qual mar farammi eclissi
che nel mio sol non fissi
il cor, l'alma e i pensieri,
se di quei raggi altieri
per entro il cor profondo
la luce e l'oror ascondo?
Partirà ben il piede:
Amor prestami fede:
per te, alma mia diva,
partirà sì ma schiva
de la gravosa salma
farà volando l'alma
- dolcissimo soggiorno -
ai suo bel ciel ritorno.


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Ultimo aggiornamento 5 agosto 2023